Non vogliamo una nuova Guantanamo italiana»
Sono tre le manifestazioni di solidarietà che i cittadini dei paesi limitrofi al campo di Manduria hanno organizzato in sostegno e tutela delle persone immigrate del campo. Una si svolgerà a Manduria nei prossimi giorni, l'altra ad Oria (un paese poco distante) mentre contemporaneamente la Rete antirazzista di Taranto ha organizzato un presidio permanente nel campo di Manduria. Un presidio che dovrebbe garantire, come stabilisce la legge, l'assistenza legale e l'interpretariato, che nel campo di Manduria di fatto non esistono.
“Si tratta di una vigilanza – spiega Enzo Pilò della Rete antirazzista di Taranto – affinché non si ripetano situazioni come quelle di Rosarno, di cattura delle persone”. Infatti, le persone che sono nel campo di Manduria, non sono in stato di detenzione. “Teoricamente – continua ancora Pilò – una volta identificate, sono libere di andare dove vogliono. Di fatto però non è chiaro dal punto di vista giuridico chi siano queste persone, né cosa sia il campo. Ieri in Prefettura parlavano di Cai, cioè di un Centro di accoglienza e identificazione che però nella normativa non esiste”.
Soprattutto, ed è quello che denunciano le associazioni che aderiscono alla rete, “manca un chiaro indirizzo politico, un'azione che orienti e che dica il da farsi – rincalza Pilò -. Sembra di assistere ad una Guantanamo salentina, le persone sono abbandonate a se stesse, senza alcuna assistenza: oggi almeno hanno mangiato, ma manca l'acqua corrente e per lavarsi devono ricorrere alle bottiglie di acqua”. La Rete antirazzista, grazie al presidio che da mercoledì 30 marzo verrà effettuato, garantirà l'assistenza gratuita di dieci avvocati e di altrettanti interpreti. “Soprattutto – conclude Pilò - il presidio vigilerà affinché la polizia faccia rispettare la legge, che non ci siano catture improprie, né ronde, né alcuna violazione dei diritti umani”.
Un centro di accoglienza che di accogliente ha veramente poco, tendopoli che le persone al di là della rete chiamano “the prison”, la prigione. È questo lo scenario che offre il campo allestito a Manduria e che “ospita” 1.500 persone provenienti per lo più dalla Tunisia e dirette soprattutto in Francia.
Nessuna assistenza legale, nessun accertamento sulle reali condizioni, la consegna di una busta di plastica con dentro una saponetta e un asciugamani è tutto quello che hanno ricevuto in ingresso anche le persone arrivate ieri con gli ultimi quindici pullman. Una situazione che è stata ampiamente documentata dalle testate locali e nazionali, appunto fino a ieri.
Mercoledì 30 marzo è scattato il veto per giornalisti, video operatori e fotoreporter di avvicinarsi alla recinzione, un recinto che, a ben vedere, non ha confini chiari e, sicuramente, non può contenere alcunché. La motivazione è che si tratta di zona militare e dunque interdetta ai civili. È così che un fotoreporter free lance viene allontanato senza alcuna spiegazione, con toni secchi, dalla recinzione di fronte alla quale sostava ad una distanza di 30 metri. “La verità è che hanno paura delle telecamere e degli scatti – dice il fotografo allontanato e accompagnato dalla polizia alla macchina – perché documentano in maniera chiara la facilità della fuga e anche quanto questo sia comodo per tutti”.