E’ un “diario del dolore”, che contiene ciò che del dramma del suo lungo rapimento non è mai stato detto
Con “Verità nascoste”, Anna Maria Fusco svela tanti particolari di quell’esperienza che le ha cambiato la vita a 21 anni.
«Era come un gabbiano pronto a volare, al quale hanno spezzato le ali» è stato il commento del vice prefetto di Lecce, Guido Aprea. «Il valore di questa testimonianza è importantissimo, perché, come sosteneva Levi, “il boia uccide due volte. La seconda volta attraverso l’oblio”».
A distanza di oltre trent’anni da quel 18 novembre del 1983, Anna Maria Fusco ha voluto raccontare, attraverso questo libro, retroscena e particolari sinora nascosti. Un “diario del dolore” (come lo ha definito il magistrato Augusto Bruschi, che fu il giudice istruttore del processo), scritto in punta di penna, con grande contegno, evitando sia l’autocommiserazione, sia la rabbia verso quelle figure che l’hanno tenuta per sette mesi (da novembre a giugno), in grotte o in buche scavate per l’occasione nel foggiano, al freddo, fra i topi e i pipistrelli e con una catena cortissima sempre fissata alla sua gamba.
«Anna Maria è stato un esempio unico di coraggio: non ha mai ceduto allo sgomento o alla sfiducia. Ha sempre riposto grande speranza nella Fede» sono le parole del magistrato Augusto Bruschi, che la maestra di Manduria ha invitato ad intervenire alla presentazione del suo libro insieme all’on. Pino Lezza, all’epoca titolare delle indagini, al magistrato Giuseppe Tommasino e all’avvocato Lillino Marseglia. «Ha dominato i suoi rapitori ricordando ogni particolare della sua prigionia e raccogliendo una serie di prove che risultarono fondamentali per inchiodarli. Dopo aver riottenuto la liberà fisica, Anna Maria, al termine del processo, ha ottenuto un’altra libertà: quella della sua anima. La sua sofferenza diventi, oggi, forza per tante persone che soffrono».
Anna Maria Fusco è intervenuta per ultima.
«Non credevo potessero esserci persone così malvagie» ha affermato. «Dopo la liberazione ho preferito tacere. Non ero pronta. Non volevo generare altro dolore ai miei familiari e per questo motivo ho anche taciuto i miei incubi notturni. Ho avuto timore di non essere creduta perché tante violenze che ho subito rientrano nella sfera dell’assurdo. E’ stato difficile riprendere la vita. Ancora oggi ho degli incubi. Il fardello di questa mia esperienza è pesante da trasportare. Ma poi basta un sorriso o una manifestazione di affetto come quella di stasera per farmi ritornare la serenità. E’ proprio vero: noi siamo angeli con un’ala sola; dobbiamo abbracciarci se vogliamo volare».