giovedì 28 novembre 2024


07/06/2014 08:12:01 - Manduria - Attualità

Ecco come è nato il romanzo psicologico “Tu lo chiamavi vizio, io necessità”

Quando è nata la tua passione per la scrittura?” 
“Nasce da quando ero molto piccola, come valvola di sforzo, come necessità. Scrivere per me è come avere un posto in cui tornare la sera, avere qualcuno che mi accoglie, che mi salva, che mi prende in braccio”.
Così risponde la giovane scrittrice Maria Elena Tripaldi alla prima domanda che punta l’attenzione sulla personale esperienza di scrittrice in erba, autrice del romanzo psicologico “Tu lo chiamavi vizio, io necessità” .
“Quando è nata l’idea di questo libro?”
“L’idea di questo libro è nata diversi anni fa, ma senza giungere a concretezza formale, poiché purtroppo non sono una persona molto costante e paziente; iniziare un romanzo mi sembrava un impresa titanica e non riuscivo mai a strutturare il testo come volevo. Ma poi ho conosciuto il professor Basile, il mio editore, che per la prima volta ha letto i miei scritti e ha creduto in me come una futura scrittrice. Così ho iniziato a scrivere, accorgendomi che per me era la cosa più naturale al mondo: più scrivevo, più mi passava la fame, perché “andavo lì” e mi sentivo bene, mi cibavo delle parole.”
“Come ti sei sentita quando hai saputo che il libro sarebbe stato pubblicato?”
“Quando seppi che il mio racconto era piaciuto e si intendeva pubblicarlo, ho fatto una cosa che non ho mai fatto né in quarta, né in quinta ginnasiale sotto richiesta del mio professore di educazione fisica: ho fatto il giro di tutto l’istituto correndo, ero felicissima, e tutt’ora conservo questa grande emozione. È un po’ come avere il sole dentro tutti i giorni. Per me è stato un primo passo verso qualcosa che è il mio sogno più grande..”
“Come potresti riassumere il romanzo in una sola parola?”
Mi piace associarlo ad una frase della tragedia “Giulio Cesare” di Shakespeare: “Vi è nelle cose dell’uomo una marea”. Il mio libro comincia con la voce di una donna, va avanti con la voce di una donna, e termina con la voce di una donna. È, dunque, un viaggio nell’anima di giovane trentenne, fortemente infelice, che cerca di ritornare indietro nel tempo, attraverso la memoria, per cercare di capire quale è stato il momento in cui ha smesso di essere felice. Vuol scoprire qual è l’ingranaggio che ha smesso di funzionare, la rotella che ha smesso di girare correttamente, invitando il lettore a seguirla nel suo percorso. Dalla prima pagina fino all’ultima è come se lei si spogliasse: si sciogliesse i capelli, si togliesse la camicetta, fino a rimanere completamente nuda di fronte a chi legge, al pari di un’immagine riflessa in uno specchio. Questo suo guardarsi dentro produce, in alcuni momenti, uno stato di crisi che, tuttavia, aiuta la donna a raggiungere la sua vera meta. Non ha, infatti, riserve nel suo guardarsi dentro, ma è sempre autocritica, autoironica e, allo stesso tempo, molto dura con se stessa e sicuramente sincera.”
“Chi devi ringraziare per la stesura di questo libro?”
“Dovrei ringraziare tante persone, soprattutto da una parte ringraziare chi non ha creduto in me, chi non mi ha aiutato, perché mi ha dato la vera spinta a continuare.”
“Qual è il tuo principale modello di riferimento?
“Modelli molto importanti sono sicuramente stati molti insegnanti. Anche nel libro sottolineo questo aspetto: la figura del docente è importantissima, anche se, a volte, chi insegna sottovaluta il suo peculiare ruolo nella vita dell’alunno, in quanto come sostiene Eva, protagonista del mio romanzo, “la cosa più importante è trasmettere”. Se il professore interpretasse ogni voto negativo dell’alunno come una propria sconfitta ne soffrirebbe. Io ho incontrato una professoressa che mi ha cambiato positivamente e mi sento di dire che, se non l’avessi conosciuta, probabilmente non sarebbe nato questo libro; una persona che inizialmente, forse, non mi aveva capita ma che, poi, è stata disposta a rivalutarmi. Si tratta della professoressa Giovanna Ardito, che ha preteso molto da me, ma dalla quale ho ricevuto tanto. Per me l’insegnate deve essere la persona che cerca di capire l’allievo, che sta accanto allo studente e che, in qualche modo, si mette nei suoi panni. “
“Durante l’elaborazione dello scritto ci sono stati dei momenti morti, dei momenti in cui non sapevi cosa scrivere e questi buchi come li hai riempiti?
“Il tragicissimo blocco dello scrittore in alcuni momenti c’è stato, però ci sono stati anche giorni in cui ho scritto 40-50 pagine di getto. Qualsiasi cosa azione della giornata porta in sé ispirazione per pensare, riflettere e, dunque, scrivere. Di solito ho sempre con me dei blocchetti di carta, dove annoto qualsiasi cosa, anche pensieri non miei, frasi di canzoni che, poi, in un secondo momento vado a rivedere e che mi procurano l’ispirazione.
“Questo libro è un diario autobiografico, ma per quanto riguarda la figura della protagonista, Eva, ti sei ispirata a qualcuno o è soltanto frutto di fantasia?”
“Mi sono ispirata a tutti e a nessuno. Non è un personaggio prettamente autobiografico, però, quando si scrive, è impossibile non riversare qualcosa di se stessi, perché altrimenti lo scritto prodotto apparirebbe arido, sterile. Non mi sono, pertanto, ispirata a un modello particolare di donna, ma mi sono ispirata a tante donne e non solo, anche un po’ a me, sicuramente.”
 “Cosa consiglieresti ad un aspirante scrittore?”
“Di credere tantissimo in se stesso, di non farsi mai “spezzare le gambe”. Credere sempre, e tanto. Si potrà incontrare, lungo il percorso, persone incapaci di comprendere, poco disposte a rivalutare, prive di volontà di riflessione. Ad ogni modo è importante farsi sentire, sempre. Alzare la voce, in maniera educata, ma alzare la voce, farsi sentire e farsi conoscere, perché se io sono arrivata qui, vuol dire che può arrivarci chiunque, perché ho dato semplicemente spazio a ciò che sono… Tutti abbiamo dentro un sogno, quindi, tutti abbiamo dentro una candela accesa, non bisogna, però, metterci mai un bicchiere sopra, ma continuare, anche se sembra una cosa lontanissima, continuare in qualsiasi modo a combattere”.
L’intervista si chiude, così, con la riflessione condivisa che nessuno potrà dare un giudizio migliore sulla fatica di Maria Elena di colui che si cimenterà nella lettura del romanzo stesso.
 
Chiara Mazza










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