La scena in cui è riprodotto il Fonte dovrebbe rappresentare metaforicamente che i sentimenti e i valori devono rimanere saldi e invariati anche quando mutano le situazioni
Tra i vari luoghi d’arte, che la città degli Estensi ha la fortuna di annoverare, figura la cd. palazzina di Marfisa d’Este, sfarzosa dimora signorile costruita nel XVI secolo da Francesco d’Este, figlio di Alfonso I e di Lucrezia Borgia. La facciata è composta da un portale e da dodici finestre.
Dopo la morte del committente, vi ha abitato la figlia Marfisa (a cui deve il nome), donna colta ed elegante alla quale la leggenda attribuisce, così come alla nonna paterna Lucrezia, varie storie sentimentali che si sarebbero spesso concluse con l’uccisione degli sfortunati amanti. Sembra invece che, nella realtà, ella sia stata sposa virtuosa e madre di numerosa prole.
Questa residenza nobiliare ferrarese presenta un insolito collegamento con la nostra cittadina, in quanto al suo interno, inaspettatamente, è possibile imbattersi nella raffigurazione della nota Fonte di Plinio.
Più precisamente la raffigurazione è ubicata nella Sala delle imprese filosofiche o Sala Rossa, densamente decorata ed istoriata che prende il nome dalle cinque scene dipinte riproducenti le imprese di Francesco d’Este. Trattasi di imprese filosofiche e non materiali. Ogni scena contiene la trascrizione del relativo motto. Le scene, riprodotte all’interno di medaglioni di forma ovale, sono le seguenti:
SI NON AMOR FIDES (se non l’amore la fedeltà). La scena raffigura Cupido morto davanti alla castità, e simboleggerebbe la vittoria del vero amore, di ispirazione divina, su quello mondano destinato a soccombere.
SI NON VIRES ANIMUS (Se non le forze la volontà). La scena raffigura un leone ferito ad una zampa e simboleggerebbe la forza della volontà che non cede all’affievolirsi della forza fisica.
SI NON SORS TOLERANTIA (se non la fortuna la tolleranza). La scena riproduce Ulisse alle prese con il canto delle sirene e potrebbe simboleggiare la fredda lucidità che consente il superamento degli ostacoli.
LA FONS MANDURIAE (Il fonte di Manduria). Il nostro Fonte è raffigurato come un vero e proprio lago con uno scoglio, segno che la conoscenza dello stesso da parte dell’artefice non è diretta, ma è legata alle fonti letterarie che lo descrivono come “lacus” il cui livello rimane inalterato sia che si tolgano, sia che si aggiungano acque.
La scena dovrebbe rappresentare metaforicamente che i sentimenti e i valori devono rimanere saldi ed invariati anche quando mutano le situazioni.
PARI ANIMO (Eguale animo). La scena riproduce il tempio romano della virtù e quello dell’onore, entrambi i valori devono essere conservati con pari animo.
Il complesso delle cinque raffigurazioni costituenti le imprese filosofiche dovrebbe rappresentare, metaforicamente, il cammino verso la perfezione a cui si sarebbe sempre ispirato ed attenuto il committente.
L’opera pittorica, per la parte che qui ci interessa, attesta il livello di celebrità e di notorietà che il nostro Fonte ebbe in passato, livello talmente elevato da varcare i confini locali e giungere fino a Ferrara.
È probabile che la conoscenza del monumento, oltre che allo studio degli autori latini classici (e quindi di Plinio) ripreso nel rinascimento, sia dovuta anche all’opera di letterati mandurini come Ferdinando Donno e, soprattutto, Antonio Bruni i quali si trovarono ad operare in varie zone dell’Italia centro-settentrionale, ospiti di alcune corti signorili (pare anche che il Bruni abbia anche avuto contatti con Alessandro d’Este, fratello di Francesco).
Peraltro, va detto che di Marfisa d’Este é noto il mecenatismo avendo ella protetto e sostenuto vari uomini di cultura, tra i quali anche Torquato Tasso.
La sala che ospita le imprese è visionabile sul sito internet www.artecultura.fe.it/1339/sala-rossa-o-delle-imprese.
Giuseppe Pio Capogrosso