giovedì 28 novembre 2024


07/06/2015 09:57:17 - Manduria - Attualità

La storia di una ragazza di Torre Santa Susanna, scomparsa a 16 anni a causa di un male raro

Amava trascorrere molte delle mattinate dell’ultimo periodo della sua vita terrena seduta su una rustica panchina in legno posta a pochi metri dalla Salina dei Monaci. In silenzio, quasi incantata da tanta bellezza, ammirava lo spettacolo del volo dei fenicotteri rosa o dei cavalieri di Malta. Restava per ore estasiata dall’eleganza e dai vivaci colori di questi ormai rari volatili e dal fascino offerto dalla flora e dalla fauna di un habitat naturale unico e irripetibile. E il suo sguardo andava oltre l’orizzonte, quasi immaginando le meraviglie di un altro Paradiso.
Un male congenito, la sclerosi tuberosa (patologia abbastanza rara, con la quale ha convissuto con una straordinaria serenità), ha strappato Elisabetta, questo il suo nome, ai suoi cari nel dicembre del 2013 ad una tenerissima età: un mese prima del 17° compleanno. Ma quella panchina nei pressi della Salina continuerà a ricordare, per sempre, questa ragazza di Torre Santa Susanna e, attraverso di lei, tutti gli altri fanciulli la cui vita è stata penalizzata da una sorte avversa. Il 22 novembre dello scorso anno, alla panchina è stata apposta una targa per legarla, per sempre, al ricordo di Elisabetta. E quella che è ormai diventata per tutti “la panchina di Elisabetta” (come inciso sulla targa), è stata al centro, ieri pomeriggio, di una serie di eventi che hanno dato forma e sostanza a “La prima giornata della panchina di Elisabetta”.
«Un giorno del settembre scorso incontrai alla Salina due operatori del gruppo delle Riserve naturali del litorale tarantino orientale, Paolo D’Adamo e Franco Cotugno, che non conoscevo prima di allora, ai quali espressi le mie preoccupazioni per gli atti di vandalismo che avevano anche oltraggiato la panchina che io avevo definito “mia”» racconta Antonio Fazzi, padre di Elisabetta. «Alla loro incuriosita richiesta di spiegazioni, appresero la storia di Elisabetta. Appena due giorni dopo, mi contattarono e mi espressero l’idea di dedicare la panchina alla mia figliola, per ricordare la figura di quella bella fanciulla».
Numerose autorità presenziarono a quella cerimonia.
«Da allora la “panchina di Elisabetta” è divenuta meta di affezionati amici e di turisti, che siedono incantati dalle meraviglie del Paradiso che si offre ai loro occhi. Un attimo di meditazione per poi andarsene sereni. Perché, in fondo, una panchina altro non è che un’occasione di sosta per scambiarsi le opinioni, per sussurrare frasi d’amore e, a volte, per elevare una preghiera».

 

 

 

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