La cronaca dell’emozionante partecipazione all’udienza del Santo Padre
Siamo qui ad aspettare un pullman che ci venga a prendere per poter andare nella città Eterna, noi che forse di eterno, in questo momento, vediamo ben poco. Però, quando si aprono quelle porte e vediamo i loro visi tutto sembra svanire, pensieri, preoccupazioni, angosce e ci ritroviamo quì, con i dottori e gli infermieri, che ogni giorno, negli ultimi periodi si prendono cura di noi come se fossimo loro genitori, figli, fratelli o sorelle, e ci siamo noi tutte che abbiamo coniato per descriverci il termine “Amazzoni”, guerriere forti e coraggiose che guardano con fiducia nel futuro.
Il viaggio è organizzato dal dott. Cosimo Brunetti e dall’equipe del Reparto Oncologico dell’Ospedale Giannuzzi di Manduria, che sono qui con noi a condividere questo momento di svago, ma soprattutto di preghiera, perchè dobbiamo incontrare il Santo Padre per il mercoledì d’Udienza; sì il Papa, questo Grande Uomo che comprende le sofferenze di tutti e che è diventato il rifugio dell’Umanità. C’è chi è venuto con il marito e i figli, come la dolcissima Antonella, che con i suoi occhi azzurri cela la sua grande forza d’animo. C’è chi è con l’amica, chi è venuto solo, chi con il fidanzato, chi con il nipotino, chi con i genitori, ognuno di noi porta la sua storia, la sua allegria, le lacrime nascoste, perchè è un “duro/a”, poi c’è chi le lacrime non ha vergogna di mostrarle, insomma siamo noi.
Conoscersi al di fuori del reparto e condividere la meraviglia di vedere o rivedere Roma ed il Vaticano è un qualcosa di magico, che dobbiamo a chi, oltre a prendersi cura del nostro corpo, si prende cura anche della nostra anima. Spesso noi parliamo con orgoglio dei nostri medici con altre persone che stanno attraversando o hanno attraversato le nostre stesse esperienze, e ci rendiamo conto di quanto noi siamo stati fortunati ad essere seguiti da loro, difatti questo pellegrinaggio ne è la palese dimostrazione.
Entriamo in Roma ed è bello ascoltare e vedere la meraviglia negli occhi del piccolo Mattia che è contentissimo di essere qui.
Roma ci abbraccia come una Madre che aspetta i suoi figli e davanti al Papa c’è tutta la nostra umanità, che si scioglie quando lo vediamo passare ed ascoltiamo le sue parole d’amore e di speranza. Per noi tutti è difficile scrivere e descrivere quello che abbiamo provato in quei due giorni, perché le emozioni si sono espresse in modo così intenso che è davvero difficile farle emergere. Il ritorno a casa ci ha fatto capire tante cose, in primo luogo che forse, dietro l’apparente freddezza di alcuni infermieri, c’è solo la necessità di proteggersi dall’affezionarsi troppo a noi.
Questo lo abbiamo compreso nel viaggio di ritorno quando ognuno di loro, compresi i dottori, ci ha raccontato il proprio approccio con l’ambiente di lavoro in cui vivono, ma prima di tutto con noi tutti; ci sono le parole del dott. Cosimo Brunetti che ci spiega, con la sua semplicità che cela le sue origini di uomo radicato con orgoglio nella sua terra d’origine, che, tutto sommato, non c’è medicina più potente che non sia l’amore, e nel suo discorrere riprende anche ciò che aveva detto il Santo Padre quella stessa mattina, che il medico e il paziente - anzi lui non ci considera pazienti, ma persone che hanno avuto un incidente di percorso - devono collaborare per riuscire a superare questi momenti che la vita ci ha posto dinanzi, noi per loro non siamo e non saremo mai dei numeri, ma delle persone e solo chi ha vissuto o vive un dramma del genere sa cosa vuol dire e quanto significato abbia per noi ascoltare queste parole; poi c’è la dottoressa Daniela Di Coste, che con la sua dolcezza e con la voce rotta dall’emozione, ci fa capire che per lei siamo importanti, ma questo lo avevamo compreso fin dal primo giorno in cui ognuno di noi, ha varcato terrorizzato la soglia di quel reparto e poi ne è uscito con un sorriso di speranza; c’è Loredana il nostro angelo in camice bianco, che nella sua semplicità disarmante, dice che questa esperienza l’ha arricchita e che è contenta di aver passato questi giorni con noi; c’è Maurizio che con il suo stile inglese e il suo accento toscano, sdrammatizza e scherza con noi, ma sappiamo che ha un cuore grandissimo; e infine, ma non per ultima, Elena la caposala, una grande donna che si commuove parlando di noi, e ci fa comprendere come sia difficile affrontare il lavoro, quando un paziente non risponde alle terapie, questo ci tocca tutti, perchè per la prima volta capiamo quanto sia complicato ciò che fanno, noi alla fine ne usciamo con il terminare delle cure, loro devono ogni giorno combattere il dolore dei pazienti e dei loro cari, ma sono anche disposti a lasciare le loro famiglie, per passare il proprio tempo libero con noi.
Con il racconto di questa nostra esperienza, vorremmo fare capire alle istituzioni quanto questo piccolo, ma grande reparto – reso tale da chi ci lavora – meriti di essere ampliato, perchè purtroppo il numero di persone che continua ad ammalarsi sta crescendo in maniera esponenziale e noi siamo testimoni diretti di quanto sia faticoso gestire anche la parte burocratica della “malattia”, mentre, con la loro grande umanità tutto ciò viene alleviato. Se volete insieme ce la possiamo fare.
Allora crediamo, che sia l’amore che spinga questi uomini e donne a prendersi cura di noi e che tutto ciò che fanno o faranno, indipendentemente da ciò che ne potrà essere l’esito, condurrà verso la via maestra tracciata da grandi uomini come Giovanni Paolo II.
Vogliamo per questo concludere questo articolo con le sue parole che secondo noi sono il simbolo di ciò che riceviamo ogni giorno da questi Professionisti della Sanità Pubblica:
“L’amore mi ha spiegato ogni cosa, l’amore ha risolto tutto per me. Perciò ammiro questo amore ovunque esso si trovi” … anche in un piccolo reparto d’ospedale.
di Rossana Vergine
con il prezioso ausilio delle Amazzoni “Carla, Antonella, Amelia, Rossana”