«Spesso si preferisce mettere la testa sotto la sabbia, invece di affrontare il problema con determinazione, cercando di coinvolgere, oltre alle famiglie, anche tutte le agenzie educative presenti sul territorio»
«La droga e l’alcool sono delle piaghe sempre più diffuse. Spesso si preferisce mettere la testa sotto la sabbia, invece di affrontare il problema con determinazione, cercando di coinvolgere, oltre alle famiglie, anche tutte le agenzie educative presenti sul territorio».
Altri giovani continuano a perdere la vita dopo aver sottovalutato l’effetto fatale delle sostanze stupefacenti, a volte ulteriormente acuito se assunte insieme a superalcolici. E’ quasi un bollettino di guerra: ogni fine settimana fioccano le vittime.
A valutare e commentare questo desolante panorama è Miki Formisano, operatore sociale e culturale di Taranto. Vice presidente nazionale del Network Persone Sieropositive, Formisano esprime il proprio punto di vista usufruendo di un osservatorio privilegiato.
«So cosa significa diventare schiavi delle sostanze stupefacenti: ho vissuto quest’esperienza sulla mia pelle e, proprio per questo, ora cerco di offrire il mio contributo affinchè altri ragazzi non vivano lo stesso dramma» è la premessa di Miki Formisano, che lo scorso anno ha raccontato la sua storia nel libro “Resto umano”. «Ogni giorno, però, arrivano notizie di ragazzi che perdono la vita dopo aver assunto stupefacenti. Oppure di adolescenti (anche ragazzine quattordicenni, come è recentemente accaduto in provincia di Brindisi) trovati privi di sensi in uno stato di coma etilico. Mi chiedo: cosa si fa concretamente per combattere queste piaghe? Spesso si preferisce girare la testa dall’altra parte per far finta di ignorare questa triste realtà, invece di denunciare. Forse anche per paura. Invece la vera paura dovrebbe essere quella di vedere il figlio rincasare la sera “sballato” o drogato. O, peggio ancora, non vederlo affatto rientrare».
A Miki Formisano ha colpito il caso di Ilaria, la ragazzina 16enne trovata morta, la settimana scorsa, in Sicilia: aveva assunto sostanze tossiche. Nel suo profilo facebook, chissà quanto per gioco o per convinzione, aveva scritto frase, contenuta nel testo di un brano di un cantante rap: “Siamo nati per morire con un urlo dentro che nessuno può sentire”.
«Ho seguito il suo caso, maturando la convinzione che Ilaria avesse problemi legati alla propria identità» sostiene Formisano. «Per alcuni versi mi sono rivisto in lei, anche se io sono stato più fortunato: io sono ancora vivo, lei è “caduta” subito. Chissà, se avesse avuto qualcuno con cui parlare del proprio malessere, forse si sarebbe salvata. Queste realtà, purtroppo, non sono sempre lontane. Anche a Taranto e nella nostra provincia esistono tanti ragazzi che aspettano che qualcuno tenda loro una mano per essere salvati. Come salvare questi ragazzi? C’è bisogno di maggiore collaborazione tra istituzioni, associazioni, scuole e famiglie. C’è bisogno di un dialogo fra adulti e giovani. Occorre responsabilizzare i ragazzini sin da quando frequentano la scuola media. Dopo, alle superiori, potrebbe essere tardi. Accade che una parte di loro arrivano a maturare le prime esperienze lontano da casa senza basi, senza principi, senza ideali. Arrivano nudi, fragili e sono facilmente vittime di loro stessi.. Muoviamoci tutti nella stessa direzione. Lavoriamo insieme, collaboriamo, perché ciò che sembra è solo la punta di un iceberg. Proviamo a fare un futuro migliore ai nostri giovani. Il resto sono solo parole».