Le tracce della presenza del vescovo di nome Reparato in alcuni documenti storici
L’arrivo dei Longobardi in Puglia aprì un periodo di grave crisi economica e sociale. Le condizioni della regione, già critiche sotto il governo bizantino, peggiorarono ulteriormente e molti centri abitati furono distrutti, a volte anche definitivamente.
Tale sorte toccò ad alcune città che erano state, fino a quel tempo, sedi di vescovadi, tra le quali Canosa, che aveva svolto, per tutta la Puglia, la funzione di centro di diffusione della cultura e della religione cristiana.
La persecuzione religiosa, messa in atto dagli invasori di fede ariana, avrebbe temporaneamente risparmiato centri non ancora conquistati dai Longobardi, come Lesina e Siponto in Capitanata, i cui vescovi Calunnioso e Rufino, avrebbero partecipato al Concilio Lateranense del 649 d.C. contro i monoteliti, e, ancora, alcuni centri dell’area di Taranto e di Otranto.
Tra queste città sedi di vescovadi, non interessate dalla prima fase di occupazione longobarda, figurerebbe, secondo vari autori, proprio Manduria.
La notizia, relativa all’esistenza di una sede vescovile a Manduria in quell’epoca, è fornita per la prima volta da Alessandro Di Meo (Volturara Irpina 1726 – Nola 1786) che negli Annali Critico-Diplomatici Del Regno Di Napoli Della Mezzana Età, trattato di storiografia annalistica dedicato al reame meridionale, parla di tali sedi scomparse dopo la conquista longobarda.
La notizia, riportata dall’autore per l’anno 575, è la seguente: “Pur tuttavolta in numero maggiore assai erano i Vescovadi nel nostro Regno di quello che sono al presente, primaché le tante e doviziose Città di esso venissero barbaramente sterminate da’ Longobardi. Acquaviva, Acropoli, Amiterno […] Manduria […] furono vescovadi fino a questi tempi, de’ quali ora scriviamo; e di molte di esse ora si è perduto anche il nome.” (1)
Della stessa opinone è anche Giovanni Colella (2).
Ma un’altra importante traccia della presenza di un vescovo a Manduria fino all’anno 649 sarebbe, secondo altri autori, contenuta negli atti del concilio celebrato dal 5 al 31 Ottobre di quell’anno nella basilica di S.Giovanni in Laterano in Roma, sotto la presidenza di Papa Martino I e con la partecipazione di 105 vescovi provenienti da varie parti, tra cui, principalmente, l’Italia peninsulare, la Sicilia, la Sardegna e l’Africa.
Gli atti del concilio, svoltosi per contrastare l’eresia monotelita, sostenuta dall’imperatore Costante II, sono consultabili in varie raccolte, tre le quali ho preferito quella curata da Giovanni Domenico Mansi (Lucca 1692 – 1769), arcivescovo di Lucca, teologo e storico, intitolata Sacrorum conciliorum nova et amplissima collectio , stampata a Firenze nel 1764, 31 volumi in folio (3).
Nel volume X, coll. 863 e seguenti, è riportato più volte, sia nella trascrizione latina, che in quella in lingua greca, il nome di un presunto vescovo manduriano, regnante nel 649, di nome Reparato, che avrebbe preso parte al Concilio Lateranense e ne avrebbe sottoscritto gli atti.
I passi in cui il nome è citato sono i seguenti: nella versione greca “Ρεπαράτος επίσ. Μαντουριανο”, in quella latina “Reparato Manturianensi episc.". Il nome ricompare in altre parti del testo.
In altre raccolte (cfr. Lateran Council = Concilium Lateranense anno 649 celebratum, ed. R. Riedinger, ACO II 1 (Berlin, 1984) il nome è riportato al sesto posto nella lista dei vescovi presenti e più precisamente: Conc. Lat., p. 2, linea 14 (Ρεπαράτου επισκόπου Μαντουριανοu), p. 3, linea 14 ("Reparato Manturianense episcopo") (prima sessione), cf. pp. 31, 111, 177 e 247 (solo nella versione latina è ripetuto per le altre sessioni). Il presule ha sottoscritto i canoni ed ha partecipato a tutte e cinque le sessioni del concilio: Conc. Lat., p. 390, line 36 (Ρεπαράτος επίσκοπος Μαντουριανοu), p. 391, line 36 ("Reparatus episcopus sanctae Manturianensis ecclesiae") (4).
In realtà il nome di questo vescovo della diocesi di Manturia o Manturianum che avrebbe partecipato al Concilio lateranense del 649 è conteso da altre tre diocesi soppresse: Monterano, che si ritiene succeduta a Forum Clodii nella Tuscia, e poi annessa a Sutri (tesi sostenuta da mons. Louis Duchesne, Le Lib. Pontific. I, 483) e Martirano nella Calabria l’antico Bruzio (secondo la tesi di Ferdinando Ughelli, Italia sacra, vol. IX, seconda edizione, Venezia 1721, coll. 270-285), Martorano in Abruzzo (secondo Giorgi, de cath. Episc. Setiae, pag.52). Il nome di Reparato, infatti, viene attualmente incluso nelle cronotassi dei vescovi di tutte e tre le sedi.
Ma l’illustre storico napoletano Carlo Troya (Napoli 1784 – 1858) nel suo Codice diplomatico longobardo, occupandosi dei vescovi del Regno longobardo che avevano partecipato al Concilio lateranense del 6 ottobre 649, nella parte dedicata ai “Vescovi di città delle quali rimane in dubbio se fossero longobarde nel 649” cita Reparatus Manturianensis e lo colloca, come vescovo, proprio a Manduria di Terra d’Otranto, escludendo, anche, che la città nel 649 fosse stata presa dai longobardi.
Scrive l’autore: “Si tratta di Manduria, situata nell’odierna Provincia di Lecce, Diocesi di Oira nella regione Tarentina, che i Longobardi Beneventani continuamente infestavano: e Romoaldo, lor Duca, s’impadroni anche di Taranto nel 671. Io però lascio in dubbio se Manduria fosse o no longobarda nel 649: ma son più disposto a negarlo, che ad affermarlo.”. (5)
In ciò la nostra cittadina, secondo l’autore, si sarebbe distinta dalla vicina Oria (già sottomessa dai longobardi in quell’epoca) ed avrebbe seguito le sorti di Taranto, per la quale occorre attendere l’anno 671 perché sia occupata da Romualdo duca di Benevento.
La questione è dunque complessa e, in ogni caso, non può neppure essere risolta, come fece il Coco, il quale affermò che Reparato fosse un vescovo oritano rifugiatosi a Manduria, includendone il nome nella lista dei vescovi di Oria, diocesi con la quale il testo letterale degli atti del concilio lateranense non presenta alcun tipo di collegamento (6).
Ciò anche perché, secondo Francesco Carabellese il vescovo oritano dell’epoca si sarebbe invece rifugiato a Brindisi (7), mentre secondo studi più recenti, il primo probabile vescovo oritano di cui si ha una testimonianza epigrafica certa sarebbe il vescovo Malgelpoto, di epoca di poco posteriore alla conquista longobarda e, probabilmente, anche di stirpe germanica. La nascita della sede vescovile oritana sarebbe, pertanto, il frutto di uno spostamento della diocesi di Brindisi, avvenuto dopo la conquista longobarda (8).
Va detto anche che Reparato non sarebbe l’unico ad essersi fregiato del titolo di vescovo della contesissima diocesi Manturianense, nel 680 è anche documentato un Esilarato, che avrebbe sottoscritto una lettera sinodale di papa Agatone al III Concilio di Costantinopoli, e, nel 721, un “Opportunus Maturanensis” che avrebbe preso parte al Concilio romano di papa Gregorio II.
A parte ciò, un'ultima ragione per ritenere esistente, nell’età tardo antica e nell’alto medioevo, una sede vescovile a Manduria ci è fornita dal solito Leonardo Tarentini che, nella sua nota opera Manduria Sacra, raccoglie la tradizione riguardante l’esistenza a Manduria di un episcopio (9).
La notizia, riportata dallo storico locale a pagina 30, è tratta da un manoscritto di Gregorio Schiavoni nel quale la residenza vescovile viene collocata nel modo che segue: “Tra la porta di Nettuno (che fino ai dì nostri abbiamo veduta esistere accanto al palazzo dei signori Primicerj) tra detta Porta, io diceva, e il Palazzo dei Sig. Briganti, e quello dei Signori Corcioli, già Baroni di Trepuzzi, famiglia oggi qui estinta, contenevasi il recinto che dai nostri vecchi abbiamo inteso chiamare Episcopio, che vuole dire il luogo della residenza del Vescovo. Fino a quai tempi Manduria abbia avuto il suo Vescovo, non si può con sicurtà asserire.”.
Nella nota in calce alla pagina 31, il Tarentini osserva “In quel recinto appunto trovasi oggi la cappella della Madonna della Misericordia quale, forse, era la chiesa ove il Vescovo esercitava le sue funzioni pastorali. Di questa cappella parlerò a suo luogo.”.
Infine, nella chiusura del paragrafo, sempre lo storico mandurino afferma “In nessun altro MS. ho trovato notizie dell’Episcopio; però è fondato quanto lo Schiavoni riferisce; perché se l’Apostolo S.Pietro, come dirò in seguito, fu quello che evangelizzò Manduria, lo stesso dové ordinare un Vescovo per continuare l’opera grande della conversione. Questo vescovo ebbe senza meno una residenza che la tradizione determinò nel luogo di sopra descritto.”.
La notizia del Tarentini, ovviamente, resta tutta da verificare, magari anche sulla base di ispezioni ed indagini archeologiche che, auspico, saranno condotte sulla chiesetta della Madonna della Misericordia, tutt’oggi esistente all’imbocco proprio di Vico Corcioli.
Certo è che l’edificio di culto (al momento, sembra, non completamente accessibile), composto da una chiesetta soprana e da cappellette ipogee (poste in comunicazione, secondo le notizie degli storici locali, con un sotterraneo in cui sono ubicati una fonte d’acqua ed un cunicolo di probabile origine messapica, che conduce fuori città, in direzione Maruggio), dovette sempre rivestire una certa importanza nella religiosità popolare, al punto da essere risparmiato dalla demolizione quando la famiglia Briganti costruì di sana pianta la propria dimora, inglobandolo nella fabbrica del palazzo gentilizio (l’attuale Palazzo Briganti-Gigli di Via XX Settembre).
Inoltre, va detto che nella carta di Casalnuovo-Manduria del 1643, proveniente dall’archivio di casa Imperiali, l’edificio contrassegnato dal n.4 è chiaramente riportato, come costruzione ancora indipendente, nei pressi proprio della Porta del Mare (anticamente Porta di Nettuno).
Nella raffigurazione contenuta nella pianta, l’edificio ha la struttura di una costruzione a cupola che, con nervature e lanterna, si erge al disopra di un tamburo. Esso sembra anche avere dimensioni notevoli, tanté che svetta, nella veduta della città, sopra le altre costruzioni, al pari del coro della Collegiata (Chiesa Madre) e della cupola della Chiesa della Rotonda (la chiesa preesistente all’attuale S.Lucia).
Doveva trattarsi, quindi, di un edificio di una certa rilevanza e ciò avvalora, quindi, l’ipotesi che esso possa avere svolto, anticamente, una funzione importante, forse anche di chiesa cattedrale.
Del resto la circostanza che, nell’antichità, le dimensioni delle chiese officiate dal vescovo non fossero, soprattutto per i centri minori, necessariamente consistenti, è dimostrata dagli studi condotti sull’antica cattedrale di Oria, identificata con edifici religiosi di dimensioni molto più ridotte rispetto all’attuale (10).
Quindi, sono tanti gli indizi riguardanti l’esistenza di una sede vescovile manduriana, la quale, seguendo la tradizione locale, potrebbe essere stata di fondazione petrina, perché istituita al tempo dello sbarco dell’apostolo a Bevagna, e sarebbe poi esistitita fino all’arrivo dei Longobardi.
In tal modo essa verrebbe a collocarsi in un periodo storico anteriore alla fondazione della stessa diocesi oritana, per la quale l’arrivo degli invasori di stirpe germanica rappresenta, invece, la data di nascita.
Avviandomi alla conclusione, ritengo che un’ultima notazione si renda necessaria.
Consultando la raccolta intitolataAppendix de quibusdam aliis per Italiam Ordinis D.Benedcti congregationum, scriptoribus, episcopis, virisque sanctitate illustribus…, Volume 6, scritta da Mariano Armellini si legge a proposito di un tal Filippo Serragli: “Philippus Serralius, Florent, Abbas, fuit Episc. Mandrusien. Circa an. 1546, Lacell. L.I, p. 79” e, per consentire l’individuazione della località, indicata come sede episcopale, l’autore scrive: “ …Mandrusinus, forte legi debet Mandurinus, nam Mandurium, urbs est Apuliae, unde Mandurinus” (11).
La notizia è tratta da una precedente opera dell’abate olivetano Secondo Lancellotti il quale riporta, a proposito del citato religioso benedettino, formatosi nel monastero fiorentino di S.Miniato al Monte: “Potifex omnia reiecit & Serralium fecit Episcopum Mandrusij”. Ed ancora “D.Philippus etiam Serralius, abbas, visitator, vicarius generalis, epuscopus Mandrusinus” (12).
Sembra pertanto che, ancora nel 1546, possa essere vissuto un personaggio che si sarebbe fregiato del titolo di vescovo di Manduria.
Ciò, semprechè non si sia in presenza di un errore di lettura o di interpretazione dell’autore, sarebbe spiegabile nel senso che la diocesi potrebbe essere stata mantenuta come sede vescovile titolare, non più effettiva, in quanto scomparsa.
Conseguentemente, il menzionato abate benedettino di origini fiorentine, di nome Philippus Serralius, potrebbe essere stato (ma, in questo caso, il condizionale è, più che mai, d’obbligo) un vescovo titolare di Manduria, ossia un vescovo al quale, secondo le norme del diritto canonico, é affidata la cura di una diocesi storica non più esistente (13).
Del resto anche le già citate diocesi scomparse di Monterano, nel Lazio, e Mortirano, in Calabria, le quali si contendono il presule Reparato vissuto nel 649 d.C., sono oggi sedi episcopali storiche, rette da un vescovo titolare in carica privo di giurisdizione territoriale.
Giuseppe Pio Capogrosso
(1) Di Meo Annali Critico-Diplomatici Del Regno Di Napoli Della Mezzana Età, Volume 1 anno 575 pag. 70.
(2) Giovanni Colella, Toponomastica pugliese dalle origini alla fine del Medio Evo, edit. Vecchi – Trani 1914, pag. 397.
(3) Giovanni Domenico Mansi, Sacrorum conciliorum nova et amplissima collectio, vol. X, Florentiae 1764, coll. 863 e seguenti.
(4) Lateran Council = Concilium Lateranense anno 649 celebratum, ed. R. Riedinger, ACO II 1 , Berlino, 1984.
(5) Carlo Troya, Codice diplomatico longobardo dal 568 al 774 - Napoli - Stamperia reale - 1852-1855.
(6) Primaldo Coco, La sede vescovile di Oria e relazioni con quella di Brindisi, Roma, Scuola tip. Pio X, 1943.
(7) Francesco Carabellese, La Puglia e il suo comune nell’alto medioevo, ed. Commissione provinciale di archeologia e storia patria, 1905.
(8) Giorgia Lepore, Oria e il suo territorio nell’altomedioevo, Bibl. Diocesana di Oria, 2004, pag.53.
(9) Leonardo Tarentini, Manduria Sacra, ed. B.D’Errico, Manduria, 1899, pag.30.
(10) G. Lepore, op.citata.
(11) Mariano Armellini, Appendix de quibusdam aliis per Italiam Ordinis D.Benedcti congregationum, scriptoribus, episcopis, virisque sanctitate illustribus, Volume 6, tip. Pompei campana 1736, in Bibliotheca Benedictino Casinensis sive Scriptorum Casinensis.
(12) Secondo Lancellotti, Historiae Olivetanae. Auctore d. Secundo Lancellotto Perusino abbate, Tip. Gueriliana, Venezia 1623, pagg. 97, 128.
(13) Vescovi o arcivescovi titolari sono quei vescovi della Chiesa cattolica ai quali non è stata affidata la cura di una diocesi esistente. La loro nomina spetta alla Santa Sede. Viene loro assegnata una diocesi storica ma non più attiva, o perché gli abitanti sono stati islamizzati sotto la dominazione musulmana (Cartagine, Antiochia di Pisidia) – ragione per cui in passato tali diocesi erano denominate sedi in partibus infidelium – o perché soppressa per altri motivi (Bitetto, Oderzo, Equilio): a norma del diritto canonico, infatti, a ogni vescovo deve essere assegnata una distinta sede episcopale.
Pur non avendo alcuna giurisdizione sulla chiesa titolare, godono di tutti i privilegi e gli onori dei vescovi diocesani ed hanno il diritto e il dovere di partecipare ad un concilio ecumenico (Fonte Wikipedia).
(13) Le immagini riproducono, rispettivamente, il passo degli atti del Concilio Lateranense con l’indicazione del vescovo Reparato Manturianense, la Chiesa della Madonna della Misericordia, all’imbocco di Vico Cornioli, in foto e nella pianta di Manduria-Casalnuovo del 1643.