Il cenotafio di Andrea, un capolavoro plastico, oggetto di ammirazione anche da parte dei viaggiatori stranieri, destinato ad eternare il dramma di una famiglia le cui sorti si divisero tra Napoli e il Salento
Di recente abbiamo avuto occasione di visitare una delle più belle chiese di Napoli, quella dei SS. Severino e Sossio, chiusa a lungo per lavori di restauro e da poco riaperta. Grazie alla collaborazione dei volontari della locale sede del Touring Club, è stato possibile effettuare una visita guidata (tel. 347/4952568).
Tra le famiglie che legarono il proprio nome alla chiesa ci fu anche quella dei Bonifacio, la cui storia ha significativi addentellati con il Salento e con la stessa Casalnuovo. Il nobile Roberto Bonifacio, del seggio di Portanova, fu infatti nel sec. XVI marchese d’Oria e signore di Francavilla Fontana e Casalnuovo. Coniugato con Lucrezia Cicara, ebbe tre figli maschi: Andrea, Dragonetto e Giovanni Bernardino.
Il primo morì all’età di appena sei anni, il secondo finì i suoi giorni in Casalnuovo in circostanze oscure e il terzo, dopo aver aderito precocemente al protestantesimo, fu costretto ad abbandonare il feudo d’Oria e andò in esilio per l’Europa, morendo a Danzica. Pur potendo contare su cospicue risorse materiali, la famiglia Bonifacio non fu dunque particolarmente fortunata, almeno in linea maschile. Della vicenda di Andrea rimane una significativa memoria monumentale: il cenotafio, fatto realizzare dai genitori affranti per la perdita prematura del figlioletto. Essi decisero di affidare l’esecuzione dell’imponente arca agli artisti spagnoli Bartolomè Ordonez e Diego de Siloe.
Una lettura dei caratteri iconografici e formali permette di comprendere gli aspetti salienti dell’opera. Essa è costituita da un basamento, che reca gli stemmi della famiglia Bonifacio-Cicara e l’iscrizione funeraria, stesa dall’umanista Jacopo Sannazaro. Nella predella è raffigurata la scena della sepoltura del giovane Andrea, che è rappresentato come un eroe (ha la testa adorna di una ghirlanda) e colto nel momento della deposizione nell’urna sepolcrale. Ai lati, isolati eppure partecipi della vicenda, si notano due gruppi di piangenti, e ai due margini estremi del riquadro compaiono altre due figure in atteggiamento mesto, una di esse con un abito di evidente foggia cinquecentesca.La zona centrale dell’arca, oltre a motivi decorativi ricorrenti nella scultura rinascimentale, ospita la statua di Sant’Andrea, alla cui protezione i genitori vollero affidare il figlio scomparso.
Chiude il monumento un vero capolavoro di scultura, l’urna inghirlandata contenente le spoglie del giovanissimo defunto, il cui coperchio è retto da putti piangenti. La tomba Bonifacio, esaltata già dal De Dominici come una tra le più belle opere plastiche di Napoli, è stata oggetto di studio anche in tempi recentissimi da parte di storici dell’arte qualificati, che hanno cercato di sciogliere i principali nodi problematici posti dall’opera. La quale, come affermato da una nota studiosa, racchiude ancora molti “segreti”.
Le fonti documentarie sono infatti incredibilmente avare di notizie sulla tomba Bonifacio, le cui coordinate storiche, stilistiche ed iconografiche si sono finora potute ricostruire essenzialmente partendo dall’opera, che resta pur sempre “il primo documento di se stessa”. Piuttosto ampia è la bibliografia relativa al monumento, che qui non richiamiamo: accenniamo soltanto al fatto che, se la questione attributiva pare pressochè risolta, restano ancora non completamente sciolti i nodi relativi all’iconografia (e all’ iconologia). In questo senso ,proponiamo agli studiosi di approfondire la narrativa della movimentata predella, poiché non è ancora chiaro, al di là dell’evidente valore allegorico della scena rappresentata (che associa la morte del giovane Andrea Bonifacio a quella di Cristo), se essa contenga, come a noi pare, anche elementi di verismo. Essa potrebbe infatti contemplare la presenza dei genitori del giovanetto, Roberto e Lucrezia, ai margini estremi della raffigurazione.
E’ un’ipotesi condivisa anche da altri studiosi, coi quali l’abbiamo recentemente discussa. Molto resta comunque da dire su questo capolavoro plastico, oggetto di ammirazione anche da parte dei viaggiatori stranieri, destinato ad eternare il dramma di una famiglia le cui sorti, come si è visto, si divisero tra Napoli e il Salento.
Nicola Morrone