Archeoclub d’Italia è una squadra di oltre 10.000 volontari, una piccola fetta della società civile che dal 1971, anno della fondazione di Archeoclub d’Italia onlus, produce e consuma cultura, attraverso una capillare e variegata azione sul fronte della promozione, della valorizzazione dei beni culturali e a sostegno della tutela esercitata dalle soprintendenze. In questi anni abbiamo creato un ponte tra cittadini e istituzioni attraverso una serie di progetti che parlassero unanimemente e omogeneamente la lingua antica e moderma del patrimonio artistico nazionale.
CONSERVAZIONE E GESTIONE DEI BENI CULTURALI E PAESAGGISTICI – Mantenerli al meglio non significa che essi in sé produrranno ricchezza, ma oltre all’accrescimento spirituale creeranno un volano di sviluppo legato all’indotto, all’industria dell’accoglienza, alla ristorazione e a una serie di attività culturali collaterali come visite guidate, mostre, spettacoli teatrali, in una parola al turismo culturale.
Siamo in un sud illuminato, una regione splendida, la Puglia, l’unica del comparto italiano che abbia registrato quest’anno un trend positivo circa l’afflusso dei visitatori nei musei, nei monumenti e nei siti archeologici statali: +8,5 % contro una flessione nazionale del -3,7%. Inoltre il cartellone di questo Natale e di gennaio prevede una serie di attività culturali legate specialmente al cinema e messe in rete dalla Regione, che cerca di tamponare la crisi economica attraverso un ricco investimento in attività culturali. Sicuramente una ricetta vincente e trainante, che si lega anche a un nuovo modo di condividere gli strumenti della politica. Parlo del nuovo Piano paesaggistico della Puglia e del processo di partecipazione di altri assessorati e dei cittadini pugliesi alla sua stesura, attraverso una serie di conferenze in alcuni paesi della Regione. Lo scopo è passare da una visione del paesaggio considerata come palla al piede dello sviluppo, ad una visione intesa come risorsa e patrimonio che può produrre benessere, pace, creatività e dunque ricchezza. Trovo che sia un’azione illuminata e di grande democrazia, oltre che di grande interesse perché questo strumento, se veramente condiviso da tutti, può essere utile alla funzione di una tutela più partecipata e compresa da tutti.
RUOLO DI ARCHEOCLUB – Il ruolo di Archeoclub in Puglia, dunque, si pone più forte e privilegiato. Se si stringeranno accordi e convenzioni con enti locali e soprintendenze, potremo pensare a fare un passo in più rispetto al presente e puntare alla gestione di parchi e siti archeologici minori, da noi interamente promossi e divulgati.
Se in futuro saranno le Regioni a vigilare e gestire il patrimonio artistico del Paese, noi potremo candidarci a sostenere una nuova promozione sociale dei beni culturali del territorio, innanzitutto insegnando arte e cultura agli amministratori locali con veri e propri corsi di formazione didattica, e in secondo luogo redigere con i nostri soci professionisti progetti di gestione dei siti archeologici e dei monumenti del luogo collegandoli tra loro attraverso, per esempio, matrici storiche comuni, e creando così una innovativa lettura olistica del paesaggio e della cultura locale.
Non siamo il FAI, oligarchico, né Civita, corazzata imprenditoriale, né Italia Nostra, troppo di partito, siamo la civitas di Archeoclub, nata quasi quarant’anni fa all’ombra dei municipia di romana memoria, siamo un’idea, un modello di divulgazione culturale e di coesione sociale, che deve certo modellarsi con le istanze e le necessità civili in continua trasformazione senza però mai perdere di vista il fine alto, la missione per cui i padri fondatori crearono questo nostro movimento che tanto ci impegna e ci arrovella.
MANCANZA DI RISORSE PUBBLICHE – Non si procede più, in quest’ultimo periodo, alla tutela e al restauro del nostro patrimonio archeologico per mancanza di risorse e di una vera politica di investimento culturale, che scopre sempre più il fianco agli abusi e agli allegri costruttori edili. Noi saremo comunque al nostro posto, garantendo qualità, competenza, passione e fornendo nuovi, indispensabili modelli di salvaguardia e gestione del patrimonio culturale e paesaggistico dettati dalla nostra esperienza, perché vi ricordo che dove vi sono cittadini attenti e all’erta, che partecipano alla cosa pubblica con fierezza, intelligenza e condivisione, senza dormire o soggiacere a interessi diversi, la è maggiore la tutela esercitata con più cura, là è più valida e sentita la gestione perché sono i suoi cittadini a organizzarla.
Attualmente la tutela, secondo la nuova Carta costituzionale approvata nel 2001, è ancora di competenza esclusiva del Governo centrale e viene esercitata dalle sentinelle del territorio, le soprintendenze. Ma in un futuro veloce ciò potrebbe cambiare: saranno le Regioni che hanno già in capo la valorizzazione dei beni culturali del proprio territorio, e in alcuni casi anche la gestione, a esercitare finanche la tutela, cioè la conservazione del patrimonio culturale. Tale rivoluzione, a mio avviso, non è stata concertata a tavolino, ma è arrivata lentamente, anno dopo anno, a forza di non investire, a forza di tagli, a forza di disinteresse nei confronti della materia. E oggi la scure calata sulla spesa pubblica si è abbattuta più pesantemente del temuto sul Ministero per i Beni e le Attività Culturali, cui sono stati tagliati 355, 369 e 552 milioni di euro rispettivamente nel 2009, 2010 e 2011. Il totale sottratto sale così, nel triennio, a un miliardo e 276 milioni.
Un terzo è stato amputato alla voce Tutela e Valorizzazione: quindi nel prossimo triennio il MIBAC e le sue Soprintendenze si limiteranno a pagare gli stipendi e poco più. Saranno quindi possibili chiusure o drastiche riduzioni di orario in musei e aree archeologiche. Ecco perché saranno le Regioni ad assumere l’incarico e l’onere di tutelare e gestire i beni culturali, lo Stato non è più in grado di farlo (pensare, è stata pure ridotta la spesa ordinaria destinata al comando dei Carabinieri per la tutela del patrimonio, con buona pace dei ladri e dei rapinatori dell’arte e dell’archeologia).
(…) Sta di fatto che noi, più che intellettuali e saggi, siamo cittadini, specialisti, cultori della materia, semplici appassionati, che rivendicano l’importanza dei beni culturali come segno tangibile di identità nazionale e accrescimento della civiltà; che da anni sperimentiamo il territorio dei beni culturali cercando alleanze con l’uno e l’altro soggetto, privato o istanze presenti in loco, ma principalmente serve uno spirito di servizio e di conoscenza e un rispetto della vocazione del territorio e delle sue regole paesaggistiche e urbanistiche, troppo spesso violate o dimenticate. I danni per questi comportamenti sciatti e delinquenziali sono sotto gli occhi di tutti.
La sfida dunque è aperta, noi ci siamo e ci rimettiamo in gioco, studiando e confrontandoci giorno per giorno e tenendo a mente l’antica bellezza della nostra Italia e tutto ciò che ancora rimane a ricordare e a cantare quegli splendori perduti e quelle civiltà a cui ancora oggi ci ispiriamo e che non riusciamo più a ripetere.
Proviamo almeno a trasmettere quel che ci resta alle future generazioni. Questo lo possiamo fare.
Clelia Arduini