L’immagine pittorica campeggia al centro della grande volta a botte lunettata che ricopre l’intera navata
Come noto la blasonatura definitiva dell’insegna araldica dei Frati Minori risale al periodo del Ministro Generale Fra’ Francesco Sansone (1475-1499).
In quell’epoca l’emblema dell’ordine fondato da San Francesco d’Assisi assunse l’attuale configurazione, detta anche “conformità”, che viene così descritta dagli araldisti: d’argento (o d'azzurro) al braccio nudo di Cristo posto in croce di Sant'Andrea sul braccio vestito di tonaca di Francesco. Entrambe le mani recano le stigmate e dal loro incontro nasce la croce normalmente di tipo latino.
Successivamente lo stemma verrà a subire aggiunte e varianti alla sua impostazione grafica originaria, ciò accadrà a seguito della suddivisione dell’ordine nelle sue varie famiglie (Minori, Conventuali, Capuccini, ecc.).
Esiste anche un aneddoto per spiegare la iconografia dello stemma.
Pare che nel 1213-1214, il Poverello di Assisi sia stato ospite, nel castello di Susa, della contessa Beatrice di Ginevra, moglie del conte Tommaso I di Savoia. Al momento del commiato il Santo, per ricompensare dell’ospitalità ricevuta la nobildonna sabauda, le avrebbe donato una manica scucita dal proprio saio.
Rientrato dal viaggio, i frati lo avrebbero visto con un braccio nudo e l’altro coperto, e ciò avrebbe dato vita, successivamente, all’immagine dello stemma.
La manica del saio donata alla contessa è ancora custodita nella cattedrale di Chambery, l’antica capitale della Savoia.
In realtà, a parte la leggenda, il vero significato dell’immagine araldica è la “conformità” della vita di San Francesco a quella di Gesù: da qui deriva appunto la denominazione data dai confratelli all’emblema.
Fatta questa breve premessa, necessaria per la comprensione di quanto dirò appresso, vorrei passare alla descrizione dello stemma francescano che si può ammirare, in tutta la sua bellezza e la sua maestosità, nella chiesa di San Francesco a Manduria: l’immagine pittorica campeggia al centro della grande volta a botte lunettata che ricopre l’intera navata.
L’insegna, collocabile nella prima metà del secolo XVII (epoca nella quale ebbero luogo i lavori di ampliamento della chiesa e il rifacimento della copertura), é sormontata da una grande corona marchesale e presenta motivi ornamentali che sono tipici dello stile figurativo e architettonico del tempo.
Più precisamente l’esemplare in oggetto è posto in una cornice architettonica formata da un quadrilobo sovrascritto ad un quadrato, all’interno della quale due angioletti, posti ai lati, reggono un ricco cartiglio seicentesco, sormontato dall’anzidetta corona.
All’interno in un fondo d’azzurro, variegato di nubi di colore grigio chiaro, si collocano: un braccio nudo al naturale uscente da sinistra (o destra per chi guarda), con il segno del chiodo alla palma della mano; un altro braccio vestito del saio francescano, incrociante il primo, con lo stesso segno alla mano, che esce da destra (sinistra di chi guarda); al centro una croce di Calvario, di forma latina con tre bracci terminanti a forma di giglio araldico, emerge dall’incrocio tra le due braccia, colla traversa superiore posta ai tre quarti dell'altezza e fondata sopra un monte di tre cime.
Ma soprattutto, scendendo verso il basso del cartiglio che racchiude lo scudo, si può scorgere l’elemento che costituisce la nota distintiva dell’emblema e che -a mio modesto parere- è destinato a renderlo unico nel suo genere: si tratta dell’agnello (simbolo di Cristo, l’Agnello Mistico) che pende, sospeso da un nastro, al disotto dello scudo.
Il motivo decorativo viene ad ispirarsi al collare del Toson d’oro, il celebre ordine cavalleresco (istituito a Bruges nel 1430 dal duca di Borgogna Filippo III il Buono) che, dopo secoli di gloriosa esistenza, da alcuni decenni è stato rimesso in auge dalla monarchia spagnola [1].
L’accostamento simbolico voluto dall’artista sottintende, quasi sicuramente, profondi significati teologici: il montone del mito di Giasone e del Vello d’oro (rievocato dall’insegna dell’ordine cavalleresco del Toson) salvò i figli di Nefele, Frisso ed Elle, dalla gelosia della seconda moglie del loro padre Atamante, i quali fuggirono in volo verso la Colchide sull’animale mitologico [2]; seguendo la stessa simbologia salvifica, Gesù Cristo (l’Agnello di Dio) ha salvato l’umanità con il sacrificio della propria vita.
In entrambi i casi l’animale (il montone o l’agnello) è sempre portatore di salvezza per l’uomo.
Questo messaggio è stato rappresentato sapientemente nello stemma manduriano, attraverso la sostituzione del vello dell’ariete d’oro -che, solitamente, vien fatto pendere dal collare (che qui però manca) dell’ordine cavalleresco- con un agnello appeso ad un nastro rosa legato a fiocco.
Con la [ri]scoperta di questo stemma, la chiesa francescana di Manduria, che già ci aveva riservato delle interessantissime sorprese per l’iconografia della sua statua dell’Immacolata [3], torna di nuovo a stupirci presentando, ancora una volta, un modello illustrativo molto originale che, per quanto a mia conoscenza, non trova immediati riscontri altrove.
Per completezza di esposizione, preciso che altri due stemmi in pietra dell’ordine francescano, con i relativi cartigli barocchi che li racchiudono, sono collocati in alto, ai due lati del sontuoso coro della chiesa manduriana: ma, a differenza del primo, questi non si discostano molto dalla tipologia tradizionale.
Giuseppe Pio Capogrosso
Note:
1)- L’ordine fu fondato nel 1422 da Filippo di Borgogna. La decorazione è una collana d’oro, composta da acciarini in forma di B intrecciati, alternati con pietre focaie; al centro pende il vello di un ariete d’oro con le corna ritorte in giù fermato ad un pendaglio rappresentante l’effetto di un fulmine che colpisce l’animale.
2)- Nefele, moglie del re Atamante, secondo la leggenda, era morta lasciando due bambini: Elle e Frisso. Ino, la nuova moglie di Atamante, per gelosia, suggerì al re di sacrificare i bambini a Zeus. Allora Nefele, che morendo era stata trasformata in una nuvola, mandò un montone volante dallo splendido vello d'oro in aiuto dei figli. Il prodigioso animale condusse in salvo i due fanciulli. Successivamente il montone fu sacrificato da Frisso e il suo vello d’oro fu appeso ad un albero in un bosco dedicato al dio Ares, situato nella Colchide, attualmente Georgia, dove era difeso e custodito da un drago.
3) Per comodità dei lettori, riporto il link di accesso al mio precedente studio dedicato all’iconografia della statua dell’Immacolata custodita nella chiesa di San Francesco a Manduria già pubblicato su questo giornale:
4)- Immagini: 1-2-3 Chiesa di San Francesco di Manduria: il grande stemma dipinto della volta e gli stemmi litici del coro; 4 il collare dell’ordine del Toson d’oro.