Quando una rappresentazione teatrale scolastica finisce per far incrinare i rapporti fra i genitori e la figlia
L’amore perfetto di Romeo e Giulietta, da portare in scena, rischia di incrinare l’armonia all’interno di una famiglia.
A raccontarci la storia è una signora di Maruggio, Carolina G., che ha una figlia che frequenta l’istituto linguistico “Jack London”.
«Tutto è iniziato nel mese di dicembre, quando la scuola ha deciso di preparare un lavoro teatrale, quello, appunto della famosa tragedia di William Shakespeare» ci riferisce la signora Carolina. «Inizialmente ho saputo (anche perché io non ho mai ricevuto un calendario preciso delle prove), che gli studenti scelti per la rappresentazione avrebbero dovuto preparare la commedia per due giorni ogni settimana. In realtà, poi, le cose sono andate in maniera diversa. Le prove ci sono state a volte anche di mattina e sono durate sino alle 22 e anche oltre. In sostanza, mia figlia andava via al mattino, per ritornare nella tardissima serata. Si tenga conto che io vivo a Maruggio e che alcune volte siamo stati costretti a venire a Manduria intorno alle 22 per riprendere mia figlia. Altre volte sono stati genitori di altri ragazzi o fidanzati di altre studentesse a riaccompagnarla a casa. E se fosse accaduto qualcosa lungo il tragitto di chi sarebbe stata la responsabilità?».
Prove che sono continuate anche nel periodo delle vacanze di Natale.
«Già, sono diventate sono più frequenti e ci sono state anche di domenica. In tutto questo tempo ho notato che gli studenti interessati non hanno frequentato le ore di normale lezione. Il mio primo quesito: noi paghiamo questa scuola affinchè i nostri figli imparino le lingue straniere o per mettere in scena, in lingua italiana, una commedia? Ma il problema non è solo questo. Una domenica ho dovuto accompagnare mia figlia a Manduria, alle 9, per le prove. Speravo di riaverla a casa, almeno in un giorno di festa, in un orario decente. Invece nulla. Ho allora deciso di telefonare a scuola e di avvisare la docente interessata che sarei andata a ritirare mia figlia intorno alle 17. Credevo che 8 ore fossero sufficienti… Mi è stato opposto un deciso rifiuto. Mi sono sentita dire: “Mi meraviglio di lei, che è una persona colta, che non comprende l’importanza del progetto”. Avrei dovuto comprendere l’importanza del progetto, ma non quella di riunire la famiglia almeno nelle ore serali di un giorno festivo. Ma alla scuola non è deputato anche il compito di educare i ragazzi al rispetto di alcuni valori fondamentali? Mi sono recata ugualmente a scuola, ma la docente ha continuato a ribadire che non potevo ritirare mia figlia. Ho insistito e la docente ha fatto arrivare tutti i ragazzi e il direttore del laboratorio teatrale. E mentre spiegavo le mie ragioni, mi sono sentita apostrofare come “matta” da uno studente, senza che nessuno prendesse provvedimenti. Spalleggiata da compagni di scuola e docenti, mia figlia (che è ugualmente responsabile in tutta questa vicenda) ha deciso di rimanere. Mi sono recata anche al Commissariato di Polizia, che ha provato a chiamare a scuola per invitare i responsabili a lasciar venire via mia figlia, ma non sono intervenuti in quanto mia figlia è maggiorenne. Anche per quella sera, mia figlia è ritornata a casa dopo le 22. Non solo. Tutta questa storia ha contribuito a far incrinare i rapporti fra me e mio marito da una parte, e mia figlia dall’altra. Ora chiedo: tutto ciò che è avvenuto è giusto? Oppure c’è un limite a tutto? Può una scuola sottrarre per tante ore al giorno e per tanti giorni una studentessa dalla famiglia e dalle stesse ore di lezione? Tanto che, durante i colloqui, una docente mi ha riferito che non ha potuto classificare mia figlia in quanto sempre occupata con l’attività del teatro. Oppure gli studenti diventano formalmente di proprietà della scuola?».