Le cavallette sono state un flagello per le campagne salentine. Per ottenere l’allontanamento degli insetti nocivi i fedeli supplicavano San Trifone «ad intercedere per noi avanti a Dio, affinché trattenuti per sempre i meritati castighi nella moltitudine dei Bruchi animali infestissimi»
«Dov’è più il verde dei campi? Dove la vegetazione degli alberi? Essi non ci sono più; (…) al loro posto ci sono i moncherini, ci sono le foglie secche e ripudiate, ci sono le lagrime dei proprietari, la traccia non della nuvola che portò l’alluvione o la grandine che devasta parzialmente, ma la nuvola dei bruchi che tutto divora. E quando alle irrequiete mandibole nulla più offre la campagna, eccoli in città».
La descrizione del paesaggio desolato e reso sterile dai bruchi (cavallette, in realtà) che abbiamo appena letto è di Leonardo Tarentini, e riguarda le campagne manduriane alla fine del XIX secolo. L’autore, infatti, ne scrive in ‘Manduria sacra’ nel 1899, ma le cavallette sono state un flagello per le campagne salentine, e non solo, a partire dal XV e fino alla prima metà del XX secolo. Le periodiche invasioni dei temibili insetti costringevano le autorità preposte ad adottare provvedimenti e strategie per limitare i danni alle colture, aggravando talvolta una preesistente condizione di carestia dovuta a cattive annate agrarie.
Nell’estate del 1457, nell’allora Casalnuovo, dopo i danni provocati alle colture dalle abbondanti nevicate dei mesi invernali, «uno sterminato numero di bruchi e cavallette infestarono le campagne prima, i paesi poi. Tutto fu distrutto e con tale voracità che le campagne si assomigliarono a lande deserte» — così il Tarentini in ‘Cenni storici di Manduria antica- Casalnuovo…’, p. 126.
In un atto notarile del 22 dicembre 1588, redatto dal notaio Felice Pasanisi, vi è una dichiarazione dell’allora sindaco della città, Pompeo Barberio, riguardo una somma di 50 ducati, ricevuta don Giovanni de Figueroa, reggente dell’ufficio del Regio Percettore di Terra d’Otranto, destinata all’estirpazione dei bruchi. È del 12 marzo 1590 un altro atto notarile, redatto dal notaio Giovanni Sergio Durante, avente come oggetto la ‘consegna dei bruchi’: «Annibale Mosio, deputato della città, consegna a Gianni Girolamo Turbatore, consigliere e auditore della Provincia e deputato del re “super extirpatione bruculorum”, sulla distruzione, cioè delle cavallette, venuto a Manduria per prendere nota della “factione delli bruculi che sono facti dalli cittadini secondo l’ordine della Regia Corte”, duecento trenta tomoli di “bruculi” che, in sua presenza, vengono misurati e “de suo ordine si sono reposti, et infossati dentro una fossa sita nella piazza pubblica di detta terra”».
L’invasione dovette essere notevole anche intorno alla metà del XVIII secolo. Dall’esame degli esercizi finanziari dell’Università di Casalnuovo negli anni 1742-43, sindaco Carlo Arnò, risulta un esito di 7.95 ducati «a Pietro Giov. De Lorenzis deputato nel raccogliere li bruchi» e di ulteriori 3 ducati a «Giambattista Giustiniani per affitto cantina dove si riponeva il restuccio [stoppia] per li bruchi».
Anche negli anni 1763-64 (già cattive annate agrarie) seguì una terribile invasione di cavallette, non solo nelle campagne ma fino nelle case in città. Squadre di raccoglitori, sparsi per le campagne, li riponevano in grandi sacchi ed in seguito venivano bruciati su cataste di paglia. Più in generale, per tutto il Settecento nei libri di ‘Introito ed Esito del Capitolo della Collegiata’ vengono registrate spese per la raccolta dei bruchi ed anche l’Università di Casalnuovo organizza un pubblico servizio a tale scopo, imponendo una tassa specifica nella misura di grana 6 e cavalli 10 per ciascun tomolo di terra registrato in Catasto. Queste entrate, attestate verso la fine del secolo, venivano impiegate per retribuire i raccoglitori, che percepivano un compenso sulla base dei bruchi raccolti, misurati in tomoli e stoppelli.
Impotenti nel fermare il flagello con i mezzi messi a disposizione dalle autorità civili, i cittadini affidarono le loro speranze alla speciale protezione di San Trifone.
San Trifone nacque nei pressi di Nicea, in Asia Minore, nel 232 circa da genitori cristiani. Educato al cattolicesimo dalla madre perché orfano di padre, Trifone subì il martirio per decapitazione al tempo della persecuzione di Decio, nel 250. In un documento risalente all’VIII secolo, Trifone viene descritto come un giovane pastore di oche. Egli, oltre a operare guarigioni ed esorcismi, liberò dalla fame gli abitanti del suo villaggio perché con la forza della sua preghiera ottenne l’allontanamento degli insetti nocivi che divoravano il raccolto dei campi. In particolare, i contadini greci veneravano il Santo per salvaguardare i raccolti dalle invasioni di cavallette, e per allontanare i rettili. In Italia il culto per san Trifone arrivò nell’809, quando alcuni mercanti veneziani trafugarono le sue spoglie, che si trovavano a Costantinopoli, ma non riuscirono a portarle in Italia perché una tempesta li bloccò a Cartaro, in Dalmazia (l’evento fu considerato una manifestazione della volontà del santo di rimanere in quel luogo). Sicuramente la tradizione agiografica del Santo fu esportata nel Meridione d’Italia nel 1025 quando la diocesi di Cartaro divenne suffraganea della sede vescovile di Bari.
Si narra che quando negli ultimi anni del XIV secolo e fino a tutto il XVIII la Puglia venne colpita dall’invasione delle cavallette, un ‘religioso dell’Ordine di S. Basilio’ invitò il popolo dei fedeli alla devozione verso il giovane martire. Egli stesso, nel foggiano, percorrendo le campagne e invocando il Santo, allontanava le locuste, dimostrando l’efficacia della protezione. Da allora in diverse comunità pugliesi ha avuto inizio il culto nei confronti di San Trifone. Sono molteplici, e sorprendentemente analoghi fra loro, gli aneddoti che accomunano la devozione verso il santo in diversi comuni pugliesi che lo hanno eletto loro patrono (Alessano, Cerignola, Adelfia, Pulsano): un giorno di un anno imprecisato il cielo si oscurò all’improvviso, facendo presagire un violento temporale, in realtà piovvero cavallette che distrussero tutti i raccolti. Esse sparirono prodigiosamente, solo dopo aver rivolto sentite preghiere a San Trifone e averne portato in processione la statua.
In Casalnuovo, fu l’Arciconfraternita della Morte ed Orazione a solennizzare il culto di S. Trifone martire. I festeggiamenti prevedevano un settenario di preparazione alla festività, la celebrazione di una messa cantata e lo svolgimento di una processione esterna. Durante il ‘Settenario per la Festa di S. Trifone Martire’ che «si suol far o nell’ultima domenica di Aprile, o nella prima di Maggio si diranno 7 Pater, Ave e Gloria ed in fine la seguente preghiera»: «(…) vi supplichiamo ora ad intercedere per noi avanti a Dio, affinché trattenuti per sempre i meritati castighi nella moltitudine dei Bruchi animali infestissimi, Egli benigno diffonda su di noi e sopra dei nostri campi le sue benedizioni, onde possiamo godere nelle anime e nei corpi i salutevoli umori della rugiada del Cielo, ed i dolci frutti della pinguedine della terra. Così sia».
Per quanto riguarda la processione, il Tarentini scrive che una prima statua del santo fu commissionata nel 1784, mentre quella attuale, collocata lungo la navata destra della chiesa di Santa Lucia, fu commissionata nel 1796 a uno scultore di Ostuni, con una spesa di «ducati 47 e grana 10. Nello stesso anno 1796, nei costi del relativo esercizio finanziario, risulta una spesa di ducati 0.98 ¼ «per messa cantata in onore di S. Trifone». La statua del santo, di ambito culturale salentino, risulta essere in cartapesta dipinta. Reca sul basamento l’iscrizione S. TRIFONE. (Fonte: https://catalogo.beniculturali.it/detail/HistoricOrArtisticProperty/1600192951).
La devozione verso ‘il santo delle cavallette’ proseguì fino alla metà del XX secolo. Dai registri dell’Arciconfraternita risulta in una nota del Segretario che «Il 7 maggio 1950 si è celebrata in onore di San Trifone Messa cantata con Ministri, suonata da P. Enrico e cantata da P. Beniamino dell’Ordine dei P.P. P.P. , la sera si è tenuta la chiusura con Esposizione del S.S.».
L’emergenza relativa all’invasione delle cavallette nel nostro territorio fu dichiarata debellata dal Comune di Manduria nel 1955 (Fonte: Archivio storico Comune di Manduria, Lotta acridica, XI-1-1).
BIBLIOGRAFIA (DISPONIBILE IN BIBLIOTECA): Leonardo Tarentini ‘Manduria sacra’; ID., ‘Cenni storici di Manduria antica-Casalnuovo-Manduria restituita’; Antonio Pasanisi, ‘Civiltà del Settecento a Manduria’; Maria Alfonzetti, Michelino Fistetto, ‘I protocolli dei notai di Casalnuovo nel Cinquecento’; Gianni Jacovelli, ‘Manduria nel Cinquecento’.
FONTI DIVERSE: Archivio dell’Arciconfraternita della Morte ed Orazione (si ringrazia il Priore, sig. Salvatore Distratis per la disponibilità); Archivio storico del Comune di Manduria. Le foto sono condivise dal gruppo facebook ‘Manduria Sacra’.