domenica 08 settembre 2024


03/08/2023 16:36:18 - Manduria - Cultura

L’elemento che, potente, emerge fra gli altri è la funzione catartica della scrittura, quella stessa scrittura che inchioda i ricordi, restituendo l’evento allo scorrere ordinario del tempo

“L’evento” di Annie Ernaux è una storia con la E maiuscola, un’esperienza che rende maiuscola l’intera esistenza di Annie Duchense, la giovane protagonista raccontata dalla se stessa di 35 anni dopo.

Saranno i suoi ricordi, uniti ai pochi appunti presi all’epoca dei fatti, a farci conoscere la drammatica vicenda di una studentessa di 23 anni, alle prese con una gravidanza indesiderata, in un paese, la Francia del 1963, nel quale l’aborto è illegale. L’evento tuttavia avviene, avvolto nella disperazione e nella sofferenza vissuta da Annie nella «camera dai mobili antiquati» della signora P.-R., in un appartamento posto in ‘impasse Cardinet, XVII arrondissement di Parigi. In quel contesto socio-culturale è il mondo sommerso delle mammane,  «chiamate con il poetico nome di “fabbricante d’angeli”» (p. 30), efficienti e discrete, a salvare la situazione ( non sempre per la verità), mentre il mondo emerso annaspa in una palude di pregiudizio e insensibilità: «[il dottor N.]Sulla soglia dello studio sorrideva gioviale, “i figli dell’amore sono sempre i più belli”. Era una frase terribile» (p. 19).

Nonostante i cambiamenti legislativi intervenuti, l’aborto clandestino è un tema sempre attuale, che non deve essere anestetizzato dalla «scusa che “le cose sono cambiate”», anzi richiede una memoria inestinguibile e perfettamente aderente alla realtà. Ne è prova lo stile chirurgico usato dall’Autrice, il linguaggio essenziale, preciso e privo di ornamenti che scorre in tutto il libro, che non lascia tempo né voglia al pathos.

Originale l’incipit, che ci fa accomodare in una sala d’aspetto di una clinica dove Annie si è recata per conoscere l’esito di un test sull’aids predisponendo il lettore a rivivere con lei la stessa situazione psicologica di angoscia e di impotenza di 35 anni prima, in un tempo «che si faceva via via più denso senza mai procedere, come quello dei sogni» (p. 40), un tempo sospeso che filtra attraverso le maglie della memoria e di una demartiniana ‘crisi della presenza’, ora come allora.

Da ultimo, l’elemento che, potente, emerge fra gli altri è la funzione catartica della scrittura, quella stessa scrittura che inchioda i ricordi, restituendo l’evento allo scorrere ordinario del tempo: «Ho cancellato l’unico senso di colpa che abbia mai provato a proposito di questo evento, che mi sia successo e non ne abbia fatto nulla. Come un dono ricevuto e sprecato. Perché al di là di tutte le ragioni sociali e psicologiche che posso trovare per quanto ho vissuto, ce n’è una di cui sono sicura più di tutte le altre: le cose mi sono accadute perché potessi renderne conto. E forse il vero scopo della mia vita è soltanto questo: che il mio corpo, le mie sensazioni e i miei pensieri diventino scrittura, qualcosa di intelligibile e di generale, la mia esistenza completamente dissolta nella testa e nella vita degli altri» (p. 110).











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