Una rassegna delle principali opere scritte in dialetto da autori manduriani che hanno compreso l’importanza di recuperare un prezioso patrimonio linguistico
Ricorre oggi la Giornata Nazionale del Dialetto e delle Lingue Locali, istituita nel 2013 dall’Unione Nazionale Pro Loco d’Italia (Unpli). Tale iniziativa è supportata dall’Unesco ed è inserita nella Convenzione per la salvaguardia dei patrimoni culturali immateriali.
Per tale ricorrenza, ArcheOrizzonti propone una rassegna delle principali opere scritte in dialetto da autori manduriani che hanno compreso l’importanza di recuperare un prezioso patrimonio linguistico, dilapidato dalla rapida trasformazione dei costumi e dei linguaggi che attualmente ci sono propri. Il dialetto, una ricchezza culturale che va in profondità, alla ricerca di quegli elementi identitari che fanno comunità, dando spessore storico alla anonima linearità del nostro attuale registro linguistico.
Un manifesto in questo senso è la riflessione di Michele Greco, medico umanista e bibliotecario per un trentennio della civica biblioteca Marco Gatti, compilatore del manoscritto inedito “Dizionario delle voci rare, non più usate e nuove del vernacolo mandurino”, il quale premette alla sua opera “Roba sbudata” (1931): «Qua, mo ‘nci uliunu quattru palori pi spiacari comu s’è riculatu cinca jè fatta sta fatia. Iddu sia ca jè šciutu a lu rispicu o a lu sbrattu. La parlata manduriana sta mori, e, comu tutti li parlati paisani, ai pirennu pirennu: e ci s’azzaa ncunu di cinquantanni arretu e si mintia a liticari, moti ti moni picca l’erunu a capiri. / Cinca jè sbudata a la maduriana manera sti cosi (…) s’è ncapunitu cu descita tanti palori bannunati, cu dešcia arretu culori, ardori e sbiandori a na parlata ca ai sbannannu, e ca puru era tanta bella e magna». [Qui, adesso ci vorrebbero quattro parole per spiegare come si è regolato colui che ha fatto questo lavoro. Sembra che egli sia andato a spigolare. La parlata manduriana sta morendo, e, come tutte le parlate di paese, si sta sempre più perdendo: e se si alzasse qualcuno di cinquant’anni fa e cominciasse a parlare, molte persone di oggi capirebbero molto poco. Colui che ha rivoltato alla maniera manduriana queste cose (…) si è intestardito a risvegliare tante parole abbandonate, per dare nuovamente colore, profumo e splendore a una parlata che sta sbandando, e che pure era tanto bella e grande].
Nel 1974, suo fratello Emilio Greco, agricoltore, cultore di tradizioni popolari e amante del dialetto, nella sua opera manoscritta “No’ è ccieddi no’ … nnu illanu èti” (Barbieri, 2011), utilizza il dialetto per raccontare le vicende storiche e sociali del contadino manduriano in un arco di tempo che va dalla metà del 1700 agli inizi del ‘900. L’uso del dialetto da parte dell’Autore è consapevole e mira a salvarne la peculiarità e l’autenticità, prima che la “civiltà” lo travolga definitivamente. «E ppuei, nc’è notra cosa mota mpurtanti ca mi mpitesci ti cuntari; (…) ci era ccuntari, era ccuntari liticannu quedda liticata ca onnu liticata sempri a Manduria (…) com’erunun’a’ ffa, li agnuni ti moni cu mmi capèscunu cuddu ca iù ulia ddicu, ci pi lloru lu tialettu ti Manduria si litica otramenti?» [Poi c’è un’altra cosa importante che mi impedisce di raccontare (…) se dovessi raccontare, dovrei farlo usando quella lingua che hanno sempre parlato a Manduria (…) come dovrebbero fare i ragazzi di oggi a capire quello che vorrei dire io, se per loro il dialetto di Manduria lo si parla diversamente?] (p. 15).
Lo studioso Pietro Brunetti nella premessa al suo “Vocabolario essenziale, pratico e illustrato del dialetto manduriano” (Graphika PB&C 1989) scrive: «(…) interrogando il futuro… ha risposto il passato», e — aggiungiamo — certamente lo avrà fatto utilizzando il dialetto. L’opera del Brunetti non si limita semplicemente alla schedatura di termini dialettali, ma, per ognuno di essi, l’autore riporta un aneddoto, un proverbio, un elemento della cultura tradizionale che è d’aiuto alla comprensione di fenomeni culturali dei quali si sono perse le radici, quand’anche essi siano ancora conosciuti. Un esempio per tutti, tratto dal suddetto Vocabolario, la voce «’šciammerga’ [dallo spagnolo ‘chamberga’], soprabito, ma più comunemente usato nel senso di “vestito di poco conto”, anche poco decoroso; “llèiti quella šciammerga”, smetti quello straccio di vestito. / Detto: “Amicizia ripijata / è coma na šciammerga ripizzata” = “L’amicizia rotta e poi ripresa è come uno straccio di vestito”».
E poi il dialetto diviene lingua poetica nelle opere di Cosimo Greco. Nella raccolta di poesie “Štiddi” (G. Laterza 2007), c’è un componimento dal titolo “Paisi”, con cui ci piace concludere questo scritto, dedicato proprio a Manduria: «(…) terra mbriaca / ti inazza / a suennu chinu / aria ti šta nuttata / ca no nni lassa / mai / paisi ti lu Suddu / paisi ti l’Italia / paisi ti lu munnu / ti štu munnu / paisi mia» [(…) terra ubriaca / di vinaccia / a sonno profondo / aria di questa nottata / che non ci lascia mai / paese del Sud / paese dell’Italia / paese del mondo / di questo mondo / paese mio].
Manduria vanta altri autori che hanno scritto in dialetto, fra cui l’illustre scrittore Giuseppe Gigli, con la raccolta di canti contenuta in “Superstizioni, pregiudizi e tradizioni in Terra d’Otranto”; Filippo Tripaldi nella poesia; padre Gregorio D’Ostuni; Pasquale Spina; Antonio Pesare. Al ‘Vocabolario’ del Brunetti, si è successivamente affiancato il “Lessico Enciclopedico del dialetto e delle tradizioni di Manduria”, di Antonio e Paolo Provveduto, Provveduto Editore 2015.