sabato 23 novembre 2024


18/03/2024 16:24:26 - Manduria - Cultura

A Manduria è Pasquale Spina a fissare nel tempo, con la sua vivida testimonianza, momenti preziosi e irripetibili del rituale devozionale del pane

I PARTE

La solennità di San Giuseppe, che oggi si festeggia solo liturgicamente, è stata festa di precetto fino al 1977. Il culto legato al Santo è tuttora molto sentito in tutto il mondo cristiano. La figura di Giuseppe è oggetto di sincera devozione e di pietà popolare, viene percepita come modello di umiltà e dedizione, oltre che di una speciale paternità: quella ‘putativa’ del Figlio di Dio.

Nel volume di cui si scrive, gli Autori propongono al lettore un ricco itinerario fato di riti e tradizioni che sostanziano il culto di San Giuseppe. Già nel titolo, il volume suggella una sorellanza cultuale fra la Sicilia e la Puglia, entrambe regioni a forte impatto devozionale verso la figura del Santo.

Come afferma Vincenza Musardò Talò, nella Nota introduttiva al volume, «Il vero patrimonio si fonda su segni e simboli, innestati saldamente tra loro nell’inconscio collettivo delle numerose comunità mediterranee osservate, le quali hanno come proiettato e fissato nel tempo una stupenda ‘koiné’ di culture e rituali, sovente sconosciuta agli stessi detentori» (p. 12).

Infatti, gli elementi presenti nel culto di san Giuseppe sono l’attestazione più evidente di una pietà popolare vissuta e condivisa dalle varie comunità sicule e pugliesi. Nonostante le differenti modalità espressive, essi sono riconducibili ad un unico modello rituale che può essere decodificato in chiave socio-religiosa, a partire dalla difficile quotidianità di quanti affidavano le proprie ambasce a un santo umile ma — come scrive Salvatore Fischetti nel saggio “Cibi della tradizione giuseppina in Sicilia. Specificità e simbologie”— «potente intermediario della Divina Provvidenza» (p. 64) fino a contemplare sentimenti di solidarietà e protezione, passando attraverso valori e simboli ancestrali, in cui sacro e profano appaiono legati in maniera  inestricabile.

L’intero volume è una una narrazione di fede, tra sopravvivenze arcaiche e influenze moderne, laddove prevale l’amore per le proprie radici e la caparbietà nel conservare la propria identità socio-religiosa, oltre che storica.

Il percorso rituale tracciato dagli Autori prende forma attraverso alcuni precisi aspetti devozionali: il pane votivo e gli altari, le tavolate, i falò, le processioni, i carri allegorici.

Il pane votivo è donato dai devoti per voto oppure per grazia ricevuta. Si risale così al mito di Demetra, dea delle messi, rielaborato e cristianamente espresso nella figura di san Giuseppe. All’antico mito fanno riferimento anche gli altari mirabilmente allestiti e ornati con i pani votivi. Recentemente è stata ripresa l’antica usanza di allestire l’altare di San Giuseppe nelle case, che diventano per questo piccole chiese domestiche dove si respira fede e devozione, e dove la figura di san Giuseppe acquista quasi valenza di nume tutelare domestico.

In Sicilia, gli altari ornati di pane si chiamano ‘artara’. Suggestiva la descrizione dell’altare devozionale allestito nel paese di Vita, riportata nel saggio di Maria Scavuzzo “La festività di san Giuseppe a Vita”: «L’altare devozionale, nella sua caratteristica forma di struttura allegorica, ricorda nelle sue fattezze una chiesa o un  tempio con forti elementi barocchi, con colonne, archi rivestiti  di mirto o mortella e alloro adornate con agrumi e intessute come minuto ricamo, di pane artisticamente lavorato» (p. 80). Tra le tipiche forme di pane spiccano ‘u pagnuccu’ che raffigura San Giuseppe, la ‘cuddura’ di forma rotonda, che ritrae la Madonna e il ‘gaddu’ a forma di gallo; a volte le forme hanno un forte simbolismo religioso, come la stella cometa, il monogramma di Maria, il calice; suggestivo ‘u squartucciatu’, un pane ‘merlettato’. I pani votivi di Salemi, infine (i ‘panuzzi i San Giseppi’), sono vere e proprie sculture di pane, iscritte nel Registro dei Beni Immateriali dell’assessorato regionale dei Beni Culturali.

Come scrive Vittorio Sgarbi nella Presentazione del volume, «Nella festa di San Giuseppe il pane da alimento e simbolo di abbondanza si fa opera d’arte» (p. 10).

In Puglia le modalità espressive di tale devozione non differiscono di molto. L’offerta del pane votivo (‘roti ti san Giseppu’) e l’artistica realizzazione degli altari di San Giuseppe, «autentiche e preziose architetture dell’anima» (V. Musardo Talò, “Architetture dell’anima. I magici altarini di san Giuseppe”, p. 134) è fortemente sentita dal Gargano al Salento e anche in alcuni centri del tarantino (soprattutto nelle comunità albanofone, come Monteparano e San Marzano di San Giuseppe, paesi nei quali questi riti ebbero il compito di mediare il passaggio a una religione diversa da quella di origine, ma anche in altri paesi come  Faggiano, Fragagnano, Lizzano, Sava). Particolarmente «fascinosi» gli altari allestiti a Monteparano, la cui architettura è unica in Puglia, con ben sette gradini (a simboleggiare i sette sacramenti): «Si partiva con la misura massima, che andava intorno ai quattro metri, per giungere a quello più corto, su cui si intronava il quadro grande o una bella statua di san Giuseppe col divino Infante o nella versione della Sacra Famiglia» (p. 138), tradizione, questa, mantenuta anche attualmente. Sempre a Monteparano, l’allestimento di un altare non poteva essere realizzato in casa delle ‘vacantìe’, cioè delle donne nubili, ma esclusivamente in quelle delle donne sposate (Un richiamo ai ‘Matronalia’ delle calende di marzo?).  Qualunque motivazione muova i devoti alla sua realizzazione (promessa, grazia ricevuta o altro), l’altare configura «uno spazio simbolico, entro cui si accorciano le distanze tra l’immanente e il trascendente, tra la devota e il suo Patrono» (p. 138).

E a Manduria?  A Manduria è Pasquale Spina a fissare nel tempo, con la sua vivida testimonianza, momenti preziosi e irripetibili del rituale devozionale del pane.

Di seguito, il suo racconto, pubblicato ne ‘Il Messapico’ – Manduria 19 marzo 1978.

«Non so perché ma mio nonno aveva fatto voto di distribuire un tomolo di frano fatto pane nel giorno di San Giuseppe. Morto lui, l’obbligo era stato assunto da mio padre e ricordo che in casa mia, la mattina del 18 marzo di ogni anno, era come stare in un mercato.

Abitavamo in via Oronzo del Prete e tutte le donne che in quel budello avevano casa venivano a dare una mano a mia madre.

Chi setacciava la farina, chi attizzava il fuoco per far bollire l’acqua, chi preparava le ‘tavole’ che il fornaio aveva portato, chi vociava, chi rideva, chi parlava.

Noi bambini andavamo su e giù prima di andare a scuola e qualche scappellotto volava.

La Teresa  e la Rosina Magliola, che abitavano di fronte, erano le prime a venire. C’era la ‘Carmela ti lu Cosimu lu mari’ che abitava alle case nostre e che portava l’Immacolata, la Nina e la Rata, le sue figlie più grandi, mentre io e mia sorella giocavamo con la ‘Cia e lu Pitrinu’. Puru la Lucia Stano veniva e le figlie di Pasqualino ‘Uecchi ti oi’. ‘Mèscia Ntonia Pisanu’ lasciava la trattoria e si dava il cambio con la Concettina.

A ngulòria ti San Ciseppu’, dicevano insieme la ‘nunna Cosima’ e la Maria ‘Pezzi-Pezzi’, e davano inizio al rito. Queste due magnifiche e poderose donne, madre e figlia, ‘trimpavano e davano alle altre, che attendevano con le maniche rimboccate, i pezzi del pastone per la ‘škanatura’.

Si vociava e si rideva e il sudore colava dalla fronte finché non si facevano le pucce di quattro panini.

Premio Scorrano, il fornaio che non si pagava, faceva diversi viaggi per portare le tavole piene al forno e per riportare nei ‘còfini’ le pagnottelle fumanti.

Papa Ntuninu’ Mariggiò lo sapeva e il dopopranzo, con ‘Mesciu Titta’, veniva a benedire quella grazia di Dio prendendosene, per devozione, il primo pane.

Neanche noi bambini ne mangiavamo alla vigilia.

Dopo la Messa ‘alli Scolapii’ una folla si riversava e invadeva il vico. Tra Avemaria e Padrenostri la devozione si compiva o si ripeteva per qualcuno che furtivamente ritornava».

Le immagini che accompagnano questo articolo sono tratte dal volume esaminato.











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