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12/05/2024 08:50:06 - Manduria - Cultura

Un saggio del prof. Luigi Marseglia

«Fascino è quella cosa per cui ti senti rispondere “sì” senza aver posto alcuna domanda». È la  definizione di Albert Camus, divenuta ormai celebre, in sé abbastanza semplice, se considerata nella sua immediatezza, ma in realtà complessa, per la ridda dei rinvii che essa serba come implicazioni. Come può rispondersi “si” a una domanda non posta? Può accadere, così, inavvedutamente, per una imperdonabile distrazione o perché qualcosa di indefinito propizia le ragioni della risposta. Tutto ciò rinvia all'oscurità di un mondo che non si conosce.

È strano che nel secondo millennio dell’era cristiana la parola «fascino» abbia mantenuto ancora codesta peculiarità a un tempo capziosa e irrazionale. Sono due aspetti che non si discutono solo da quando Camus ha pronunciato la sua frase. A Napoli si dibattevano tali temi nella fase di tramonto dell'illuminismo e ancor molto tempo prima. Non erano più i Philosophes a farlo, ma i Prophètes Idéologues. Erano non già l’abate Genovesi, Filangieri, Pagano, Russo, pur compromessi sul terreno del naturalismo nella svolta tardo illuministica, ma semplicemente Nicola Valletta (Arienzo, 22 giugno1748 – Napoli, 21 novembre 1814), un esperto di diritto, e Giovan Leonardo Marugj (Manduria, 12 gennaio1753- 28 settembre 1836). Questi era medico, filosofo, traduttore del De intellectu humano di Locke (1788), scienziato innamorato dell'Encyclopédie di Diderot e d'Alembert, che nella loro falsa riga avrebbe scritto Lo stato attuale delle scienze (1792). Professore nella Regia Accademia delle Scienze, aveva fondato e redatto per qualche tempo, l'«Analisi ragionata de' libri nuovi», sulle cui colonne avrebbe recensito le opere più innovative dei Prophetes illuministi napoletani in quella stagione del neo naturalismo espresso dalla cultura meridionale. Era stato perseguitato e ricercato dai sanfedisti nella rivoluzione partenopea del 1799. Era anche stato ‘Arcade di Numero’ col nome di Florenio Salaminio e via dicendo. Entrambi avevano scritto sul «fascino» a diverso titolo. Il primo aveva pubblicato una Cicalata sul fascino ovvero sulla jettatura (1787)  e il secondo i suoi Capricci sulla jettatura (1788), una commistione di sette capricci poetici e di sette prose in cui si discutevano significati, forme, tipologia e modi essere del fenomeno a Napoli. Lì, ma non solo lì, il «fascino» era stato l’esito dell’illusione per cui «gli uomini – per dirla con Max Vairo - sono così volutamente creduli da incolpare, se le cose vadano male, non se stessi o gli altri, ma gli influssi malefici di un’entità invisibile»[1]. C’entrano in questo però anche gli uomini quale fonte di tali influssi. Essi sono talora portatori di invidia, capaci di condizionare azioni, destini e fortune degli altri.

Ménuret de Chambeau, un altro medico scienziato, rendeva per l’Encyclopédie la parola «fascino» con la voce influence e, nel farlo, ne codificava la tipologia in morale, physique e méchanique, come Valletta la distingueva in ‘patente’ e 'occulta' e Marugj in 'fisica' e 'morale'. Tutti conoscevano l'etimo latino, jacio, jacto, scaglio; jactare,scagliare; Jacta alea est, il dado è tratto.

Vedo con imperturbabile costanza effetti incredibili prodotti dalla jettatura - esordiva Marugj - . Ed ecco d’onde mi diparto. Molti di questi osservo negli Enti fisici, molti negli Enti morali. Molte volte la Jettatura va per diretto a colpire le proprietà, che scopronsi nella sostanza corporea, e che dipendono da disposizione particolare delle sue parti: molte altre va a segnalarsi ne’ moti, nelle regole e nelle misure, che possiamo francamente dire degli atti della volontà, sia quella degli affascinati, o di chi  contribuir possa a vantaggio de’ medesimi. Se per forza di jettatura io mi dimagro più di quello, che mi sono, mi disturbo nelle funzioni, mi altero, languisco, m’infermo, soggetto della medesima ne sono le qualità del mio corpo: così non altrimenti se si aprono i Cieli, cadono le piogge, si scatenano a mio danno li venti, scopo della Jettatura ne sono gli enti fisici; ma se poscia si sconcerta l’ordine della mia sorte in quanto si à riguardo ai beni persistenti generati nel giro delle cose, allora non è diretta che alla volontà mia di negligentare quelle azioni, che vantagiose mi sarebbero, o alla volontà di coloro che potrebbero beneficarmi, e migliorarmi lo stato. In questo senso dunque, se dritto miro, la Jettatura non colpisce che gli enti morali»[2].

Al di là della specificità di tali distinzioni, il permanere dell’idea che regge la referenzialità della parola «fascino» la qualificava come tema-problema in quella fase dell’illuminismo in cui la natura appariva ormai non esser più staticamente semplice macchina, ma essere animale[3]. Sicché l’esser soggetti all’influenza altrui, al flusso di chi condiziona una partita a carte, di chi provoca malanni o perfino di chi causa i mutamenti del clima, per essere espliciti, aveva come sua implicazione non quella dell’agire, ma quella dell’essere agiti con una conseguente crisi della presenza. La «fattura», l’artificio del rituale magico impiegato per ridurre energia e autonomia di un individuo, viva ed endemica nell’antropologia delle popolazioni meridionali, è proprio il segno strumentale di questa prevalenza dell’occulto sul noto. Come spiegare allora in un tempo dominato da ragione e razionalità il permanere di codesta ombra dell’irragione? Benedetto Croce, (prima di lui altri, Giuseppe Gigli, per esempio) considerò l’esperienza di Valletta e di Marugj «un impegno di giocosa finzione letteraria». Il problema fu posto invece in termini diversi da Ernesto de Martino in Sud e Magìa, (1959), allorché si trattò di chiarire «la trasformazione della fascinazione tradizionale in quel prodotto ideologico e di costume che verso la fine del ‘700 ebbe origine a Napoli col nome di jettatura». L’illuminismo napoletano non ebbe però modo di sperimentare sino in fondo l’alternativa importante tra natura e ragione, in una forma che definisse anche in termini di intolleranza censoria, il prevalere della seconda sulla prima. Ciò accadde, secondo de Martino, poiché nel Sud «il ritardo di sviluppo sul piano economico e politico, cioè sul piano dell’impiego profano della potenza tecnica dell’uomo, rendeva ancora psicologicamente attuale il ricorso alle tecniche cerimoniali del momento magico, in funzione protettiva della presenza individuale, costretta a mantenersi in un mondo in cui tutto “va di traverso”». (Sud e magia, Milano, Feltrinelli 1980, p. 134). La parola «fascino» a quel punto  introduceva un'altra alternativa assegnata alla sfera mitico-rituale nell’evoluzione della civiltà occidentale, proprio nella fase di maggiore maturità del razionalismo illuministico. E tuttavia al di là della posizione di de Martino, Giuseppe Galasso osservava che nel processo di risoluzione umanistica dell’alternativa tra magia e razionalità il Rinascimento aveva pur registrato il contributo del pensiero meridionale. Nel dirimere il contrasto tra la fascinazione ridotta a nefando patto col demonio e quella riassorbita in positivo nella potenza della passione c’erano stati per un verso i contributi di Leonardo Vairo o di Giambattista Della Porta e per l’altro l’interpretazione magico – naturale di Giordano Bruno o di Tommaso Campanella.

Un  breve ma significativo cenno di risoluzione di questa aporia è nella nota antropologica di Luigi Lombardi Satriani, apparsa in appendice alla silloge Scrittori della jettatura, curata da Giuseppe Izzi. Satriani analizza le posizioni di Valletta, Marugj, Schioppa, dei romantici e ai suoi occhi i loro tentativi si configurano come remedia mali in una consapevole presa d’atto dell’esistente. Essi non erano chiamati a sentenziare sulla veridicità delle tesi. Dovevano invece indagare «le modalità di un universo ideologico che per il fatto di essere stato elaborato e di essere creduto partecipe della realtà ne è parte integrante». La compatibilità di queste conclusioni con l’ideologia progressista del razionalismo illuministico riposava per Satriani nella scelta non già del rifugio nell’irrazionale, come alternativa di un mondo investigato e compreso dalla ragione e su di essa costruito, ma su di un’altra forma di razionalità fondata sulla funzione e sui dati dell’esperienza. Per Marugj era pur sempre Locke la chiave per chiarire i misteri dell’esistenza.

La consistenza tematica della parola «fascino» ha nel Settecento questo retroterra problematico. I suoi significati oscillano dunque tra il polo della dannazione demoniaca e quello, certo più capzioso, dell’attrazione passionale. Questo gioco dialettico interseca peraltro il farsi della modernità. Era nell’ottica di un divenire in progress, assegnato come forma processuale all’ideologia dei profeti dell’illuminismo, per stare alla definizione di Ferrone, che andava a misurarsi la compatibilità dell’idea di Satriani con la tensione al nuovo dei tardi ideologi napoletani. «Le nazioni moderne di cui si compone l’Occidente – aveva osservato de Martino – sono “moderne” nella misura in cui hanno partecipato con impegno a questo vario processo nel quale siamo ancora coinvolti, almeno nella misura in cui accanto alle tecniche scientifiche e alla coscienza della origine e della destinazione umana dei valori culturali facciamo ancora valere in modo immediato la sfera delle tecniche mitico-rituali, la potenza “magica” della parola e del gesto». (de Martino, Sud e magia,cit., p. 8).

 

Luigi Marseglia

 

[1]G. L. Marugj, Capricci sulla jettatura, con un atto di fede di Max Vairo, Napoli, Fausto Fiorentino Editore, alla calata di Trinità Maggiore, 1965, p. XII.  20-21.

[2]             Ivi, pp. 20 – 21.

[3]             V. Ferrone, I profeti dell’illuminismo,  Bari, Laterza 1989, pp.125-128 e 135-136.











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