domenica 08 settembre 2024


11/07/2024 17:30:51 - Manduria - Cultura

L’origine e il significato del termne “uastasi

UAŠTASI = «letteralmente ‘portatore’, ‘facchino’; persona non proprio di mal’affare, ma comunque scioperata e non molto attaccata al lavoro. “Uaštasi” erano per es. coloro che praticavano la piazza, il luogo degli incontri e degli affari, oltre il necessario». Questa la definizione del termine nel “Vocabolario essenziale, pratico e illustrato del dialetto manduriano”, di Pietro Brunetti, Graphica PB&C, 1989.

L’etimologia di “uaštasi” è da ricercare nel verbo greco"βαστάζω" (bastázo), "io porto sulle spalle", mentre il sostantivo “*βαστάσιος" (bastásios), ha originato, nel tardo medioevo, la parola latina "bastasium", cioè "facchino" (italiano antico “bastagio”). Così riporta G. Rohlfs in “Vocabolario dei dialetti salentini”, Congedo ed., 1976, alla voce “vastasi”. Nell’etimo della parola è evidente, altresì, il richiamo al basto dell’asino, sul quale venivano collocati i più svariati carichi.  A partire dal Cinquecento, il termine compare con la -v iniziale, ‘vastasu’, avendo la β greca valore di V italiana. Nel dialetto manduriano, nel quale non esiste il suono -v, scompare anche la consonante iniziale, dando vita alla parola “uaštasi”.

Il termine di cui si scrive è diffuso, con differenti varianti, in diversi dialetti dell’Italia meridionale (napoletano, calabrese, siciliano). Soprattutto in Sicilia, se ne riscontra l’uso senza soluzione di continuità, dal tardo Medioevo fino ai nostri giorni, seppur in uno spettro semantico nel frattempo diversificatosi.  

Infatti, nella Palermo del 1700, in linea con il il significato di ‘portatore’, il termine ‘Vastasi’ indicava coloro che reggevano le cosiddette “Sedie Volanti”, ossia le portantine con le quali si portavano in giro per la città gli esponenti della locale borghesia; nel secolo successivo, con lo stesso termine ci si riferiva al devoto che portava a spalla il fercolo con la statua della Madonna in processione. “Vastasu” definiva anche la trave più grossa che reggeva il tetto (trave portante, appunto). Successivamente, il termine ha subito una traslazione semantica di non poco conto: da uomini di fatica i “vastasi” sono divenuti uomini ‘sfaticati’. Tale accezione negativa pare sia stata mutuata da alcune caratteristiche comportamentali tipiche dei facchini, portatori di una gestualità e di un linguaggio rozzi e volgari, oltre che individui facilmente irascibili e pronti alla rissa. Con questo significato lo si ritrova nel comizio elettorale di Cetto LaQualunque, il surreale personaggio inventato e interpretato dall’attore Antonio Albanese che chiama “vastaso” il suo irreprensibile avversario politico.

Per quanto riguarda il nostro dialetto, indicativa del significato traslato del termine è la prima strofe del componimento “Paisi” (= Paese), presente in “Štiddi”, un volume di poesie in diletto mandurino di Cosimo Greco, Edizioni Giuseppe Laterza, Bari 2007: «“Aria ti bricanti / mpuštati alla macchia / sotta llu monti / sottajentu / aria ti uaštasi / ttaccati allu bbisegnu / terra ti aria fina / e di marina”».  — «”Aria di briganti / appostati alla macchia / sotto il monte / sottovento / aria di vagabondi / legati al bisogno / terra di aria salubre / e di marina”».

Ritroviamo il termine “bastasi nel significato originario di ‘portatore’, ‘facchino’ nel volume di Antonio Pasanisi “Civiltà del Settecento a Manduria, Economia e società”, Lacaita Editore, Manduria, 1992, dove a p. 12 leggiamo che «I bastasi ovvero coloro che oggi vengono chiamati facchini, avevano quel nome proprio per il richiamo all’imbastitura dell’asino, sulla quale venivano riposti i carichi diversi». Inoltre, dai dati riportati nel Catasto Onciario del 1756, analizzati dall’Autore, si evince la presenza di due bastasi nella composizione sociale della Casalnuovo della prima metà del Settecento, in relazione alla tipologia di mestieri svolti.

Nella Manduria del nostro ieri è attestato l’uso del termine “uaštasi” in riferimento a coloro (facchini) che caricavano le botti di vino sul carretto. Il brano che segue è tratto dall’articolo “Dalla vendemmia al vino”, di Rino Contessa, pubblicato nella rivista ALCEO salentino n. 22 del 16-03-2010: «Quando nei tempi passati arrivava il momento di caricare il vino (“sa caricari lu mieru”), già venduto sulla parola e del quale si era anche ricevuta caparra, una squadra di facchini (“uastasi”), impegnata dal compratore unitamente al conducente (“trainieri”) del carretto a due ruote (“trainu”) sul quale erano sistemate le botti o la “carrizza” (botte lunga), si portava presso la casa del particolare dove tutto era pronto (p. 32).

Analogamente ‘alli uaštasi ti lu mieru’ (= ‘ai facchini del vino) di Manduria, troviamo nel vicino territorio di Mesagne ‘li uaštasi ti l’aulii’ (= i facchini delle olive), lavoratori addetti al carico e scarico dei sacchi di olive (https://www.mesagnesera.it/lu-uastasi-ti-laulii-a-villa-bianca/).

Una originale idea di recupero del  termine esaminato, infine, ci porta a segnalare l’uso del sostantivo “Uaštasi”, in territori a noi vicini, come nome proprio di una imbarcazione a vela (http://www.salentovelamaestra.com/) e di un gruppo  salentino di musica popolare (https://iltaccodibacco.it/puglia/eventi/216368.html).











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