domenica 08 settembre 2024


27/07/2024 08:48:10 - Manduria - Cultura

Sembrerebbe il titolo di un romanzo e in realtà si parla d’amore, di un amore dimenticato e tradito: quello degli italiani per il proprio patrimonio culturale

“Se amore guarda...” sembrerebbe il titolo di un romanzo e in realtà si parla d’amore in questo libretto di Tomaso Montanari, anzi di un amore dimenticato e tradito: quello degli Italiani per il proprio patrimonio culturale, di cui ormai sembra importarci solo se ha delle potenzialità turistiche.

Inquadrati in un’ottica esclusivamente economica, i Beni Culturali, questo immenso giacimento di bellezza e di pensiero, hanno smesso di parlarci, di parlare a ciascuno di noi, divenuti ormai incapaci di guardarli e di ascoltarli anche col cuore. È dunque della necessità di educare il cuore, di una educazione sentimentale in piena regola, che parla il libro, il cui titolo è preso dal commento che Carlo Levi scrisse nel 1960 per una raccolta di fotografie di Janos Rusmann, che Einaudi pubblicava. I Beni Culturali non sono semplici “cose”, scriveva Levi e ribadisce Montanari, perché in essi, ben oltre il dato materico, sono stratificati gli sguardi che per secoli si sono posati su di essi ed è proprio la dimensione del tempo che possiamo percepire guardandoli, un tempo diverso dal nostro, col quale possiamo dialogare. In questo consiste la vera “ricchezza” dei Beni Culturali, in quella che trasmettono a noi, consentendoci di rivivere altre epoche, così diverse dalla nostra, ma che suscitano in noi il sentimento della comune umanità. Una comunione che è possibile ad una condizione: se amore guarda.

Se questo è vero, non sono solo le opere grandiose e perfette quelle a cui si deve cura e rispetto, ma anche le testimonianze minori, incomplete, rovinate sono preziose, perché, attraverso le ferite, le lacune, le sovrapposizioni, possiamo cogliere il trascorrere del tempo e, in ciò che è perduto per sempre, percepire meglio la misura della nostra fragile umanità.

Vi è una rete di relazioni che tutto congiunge, oggettivata nel Bene Culturale, in cui trovano posto non solo i Grandi, ma anche “una infinità di uomini senza nome, che però hanno lavorato all’interno di un’epoca che poi ha prodotto i frutti più estremi, più assoluti, nelle opere d’arte d’autore“ (P. P. Pasolini). È una rete che trascende non solo il tempo, ma anche lo spazio, se ci fermiamo a considerare che il magnifico blu cobalto dei cieli che fanno da sfondo alle nostre madonne, nei quadri sublimi  dei pittori medievali e rinascimentali, è dato tutto dal lapislazzulo estratto dalle umili mani dei minatori del lontano Afghanistan.

In questa rete, se ci pensiamo bene, ciò che emerge è il senso della nostra comune fraternità e dunque essa accoglie anche noi, se diveniamo capaci di guardare con amore.











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