domenica 20 ottobre 2024


19/10/2024 17:04:00 - Manduria - Cultura

La prima tappa del nostro itinerario ci porta a masseria Schiavoni, lungo la provinciale Manduria–Oria. E qui, lungo tale arteria, a breve distanza dall’incrocio, si osserva l’alto monticello di pietre irregolari denominato Specchia Schiavoni o Rotulafai; poi ancora Specchia del Diavolo, Lo Specchione, Specchia d’Oria, Specchia Montebello, Specchia Maliano

La fascia territoriale  a nord di Manduria, protesa verso il confinante territorio di Oria, si fa apprezzare per una certa “arcaicità” fatta di muri a secco, paretoni, trulli ed antiche cave in abbandono. Le casette rurali sono alquanto diradate, all’interno di poderi, a volte piccoli, coltivati a vigneto ed oliveto; ampi spazi destinati a pascolo si aprono intorno alle masserie, invero poco numerose  ed alcune in abbandono. La viabilità principale conduce ad Oria, Francavilla Fontana ed al santuario di S. Cosimo alla Macchia; si aggiunge un lungo tratto della Bradanico-Salentina, in attesa di completamento, che percorre l’area in senso E-O. Queste arterie asfaltate incrociano o corrono in parallelo con stradoni campestri alquanto sconnessi, di breve o lunga percorrenza, lungo i quali si osservano, a volte, caratteristiche edicole votive con immagini di Santi molto sbiadite (vedi B. PERRETTI, Testimonianze cristiane nel territorio rurale di Manduria. Architettura spontanea popolare, Manduria, Barbieri, 2000, pp. 1-50). Addentrandosi, poi, in territorio di Oria, si incontrano interessanti luoghi di culto, antichi e recenti (S. Cosimo alla Macchia, Madonna della Scala, cripta in contrada Palombara, ecc.), nonché siti archeologici di varia epoca, a conferma di prolungate fasi insediative sviluppatesi su queste fasce territoriali tra epoca preistorica e moderna.

La prima tappa del nostro itinerario ci porta a masseria Schiavoni, lungo la provinciale Manduria–Oria. Lo stabile rurale, dalla struttura su due piani, rivela una significativa ampiezza ed un certo pregio architettonico nel colonnato che chiude la veranda al primo piano, sul lato nord. In questa vasta proprietà terriera, posta a cinque chilometri, circa, da Manduria, si osservano i resti, sempre più cadenti, del vecchio aeroporto militare utilizzato durante il secondo conflitto mondiale. I locali interni della masseria, molto degradati, conservano ancora, dipinte sui muri (ma con lettere sempre più sbiadite), la loro destinazione d’uso nel periodo bellico. La visita a questa vastissima area è vietato da appositi cartelli, ma grandi fabbricati in abbandono, dal tetto a doppio spiovente crollato e caratteristici accessi a profondi rifugi sotterranei documentano chiaramente, dall’esterno, l’utilizzo a fini bellici del sito. Un’iscrizione nel punto d’ingresso alla base richiama il contributo ed il sacrificio del 450° gruppo da bombardamento della “Army Air Force” degli Stati Uniti d’America, con 265 missioni  partite da tale aeroporto  contro le forze dell’Asse. Un momento di storia moderna, quindi, in un contesto masserizio, forse settecentesco, che sembra aver restituito precedenti presenze romane  ed ancor più antichi (seppur sporadici) resti preistorici (industria litica) a conferma di continuità e/o sovrapposizione insediative sempre più documentate nel nostro contado (vedi D. NOVEMBRE, Ricerche sul popolamento antico nel Salento con particolare riguardo a quello messapico, Lecce, Milella, 1971, p. 108; R. G. COCO, Manduria, tra Taranto e Capo d’Otranto-etimo mito e storia del territorio, Manduria, GS Centro culturale, 2009, p. 217 ) .

Procedendo  sempre lungo la provinciale in direzione di Oria, poco oltre masseria Schiavoni si incrocia un’arteria campestre, in parte asfaltata, che conduce, ad est, verso masseria Case Grandi e poi al santuario di S. Cosimo alla Macchia. E qui, lungo tale arteria, a breve distanza dall’incrocio, si osserva l’alto monticello di pietre irregolari (in parte ricoperto da vegetazione spontanea) denominato Specchia Schiavoni o Rotulafai. Tale specchia, alla cui base la strada compie una piccola curva di rispetto, offre, dalla sua sommità, un’ampia prospettiva visiva, consentendo allo sguardo di spingersi, per vastissimo spazio, verso la pianeggiante Manduria, a sud, e verso le  colline di Oria, a nord. A breve distanza dalla sua base, in direzione est, compaiono grandi fabbricati in abbandono, con tetto a doppio spiovente, crollato, del tutto identici agli edifici notati nell’area dell’aeroporto a ridosso di masseria Schiavoni. Alcune di queste costruzioni hanno le pareti esterne rivestite in pietra, certamente destinate ad abitazione per i militari del campo; segue, nei pressi, una torre dell’Acquedotto Pugliese, realizzata intorno agli anni 1930-32, che sovrasta, con la sua altezza, l’intera area.

Specchia Schiavoni o Rotulafai si inserisce  perfettamente in tutta la problematica (affrontata fin dal XVI sec.) inerente le origini e la destinazione d’uso di tali collinette artificiali, ritenute, in genere, punti strategici di avvistamento e difesa, o luoghi di sepoltura (vedi, R. MARRA, Le specchie situate nel territorio di Manduria, in “QuaderniArcheo”, 2002, nn. 6-7, pp. 153-174). Ubicate spesso lungo la viabilità principale e secondaria dei territori di riferimento, tali specchie sembrano a volte disporsi ad anello intorno ai centri messapici dell’area, quasi a delineare un sistema difensivo e di avvistamento al di fuori delle cinte murarie urbane (vedi G. NEGLIA, Il fenomeno delle cinte di “Specchie” nella penisola salentina, Bari 1970). A nord di Manduria (oltre alla Rutulafai, di fatto la più settentrionale e sul confine con l’agro di Oria)  si osservano altre specchie, distanti tra i 2 e 3 chilometri dal centro abitato. Queste presentano (come la “Rotulafai”) forma troncoconica su base più o meno circolare costituita da blocchi squadrati (alcuni spostati, altri divelti, altri ancora in situ)  disposti su più file; le dimensioni, comunque significative, variano, in altezza e diametro di base, anche per i danneggiamenti subiti, nel corso dei secoli, da queste collinette.

 

 

Nella fascia territoriale a NO di Manduria si colloca Specchia del Diavolo, caratterizzata da una modesta elevazione su ampia circonferenza di base; e qui, alla base di questo monticello, non si riesce a scorgere, tra i rovi ed il pietrame superficiale, il solito muro circolare a blocchi regolari presente nelle altre specchie nostrane. Tale collinetta artificiale, sovrastata, in direzione Nord, da un cavalcavia della costruenda Bradanico-Salentina, si colloca a margine della strada che da Manduria (dopo aver attraversato le località S. Angelo e Poverella, note per presenze di epoca romana e medievale), consente di raggiungere contrada Archignano. In tale estesa contrada  si osserva il caseggiato in abbandono dell’oramai dismessa stazione di Sava, lungo la ferrovia  della “Sud-Est”.

I locali sono in abbandono e le porte d’accesso murate; date e nomi graffiti sui muri testimoniano la precedente e prolungata frequentazione della struttura, mentre, nel piazzale antistante, si osserva una casetta rettangolare (con facciata prospiciente la stazione a timpano superiore, triangolare), in cui notizie edite indicano una vecchia chiesetta risalente al 1964, oggi in totale degrado (vedi G.P. COCO, vol. cit., p. 281).  A breve distanza, sulla strada del ritorno, ci sorprende il suggestivo impianto fortificato di masseria Archignano, con alta torre e caditoia; documentata nel Catasto Onciario di Manduria (anno 1756), ma certamente più antica, (vedi A. PASANISI, Civiltà del Settecento a Manduria. Economia e società, Manduria, Lacaita,1992, p. 113; G.P. COCO, vol. cit., p. 281). tale masseria, unitamente ad altre strutture analoghe presenti sul territorio, è chiara testimonianza di periodi pericolosi e turbolenti vissuti dal nostro contado.

Lasciando contrada Archignano e spostandoci verso il territorio ad est della Specchia del Diavolo, incontriamo il monticello artificiale denominato Lo Specchione, lambito dall’arteria diretta a Francavilla Fontana;  e qui, alla base orientale della collinetta (sempre più invasa da alberi di olivo e vegetazione spontanea), si apre un locale rettangolare, in origine un’antica cisterna voltata a botte, con muri interni impermeabilizzati da intonaco cementizio; a breve distanza si scorge un impianto estrattivo e di confezionamento del calcestruzzo, che non ha comunque danneggiato il monumento. Segue Specchia d’Oria,  posta lungo la strada vecchia per S. Cosimo alla Macchia, fortunatamente risparmiata dalla costruenda Bradanico-Salentina che lambisce questo (oramai) modesto monticello artificiale, sovrastandolo con un alto cavalcavia; sembra che tale specchia (alquanto danneggiata anche per la realizzazione di una struttura a trullo nell’ angolo NE) sia attestata in atti notarili del XVI secolo e che in aree vicine siano stati ritrovati resti di epoca preistorica (qualche frammento di selce), nonché cocci di ceramica d’epoca ellenistico-romana  e medievale, a testimonianza dell’antico e prolungato utilizzo di questa fascia territoriale (vedi R.G. COCO, vol. cit., pp. 204-205).

Più a NE si erge Specchia Montebello, ancora suggestiva nella sua altezza ed imponenza e nel suo splendido isolamento in un contesto rurale vasto e pianeggiante, con presenza di paretoni e di frammenti ceramici (tegole e cocci) risalenti ad epoca ellenistico-romana, trovati in superficie. Ad est della “Montebello”, al di là dell’arteria diretta a Lecce,  si scorge  l’alta torre dell’Acquedotto Pugliese realizzata, nel 1927, sulla collinetta occupata da Specchia Maliano. Tale specchia, posta a cinque chilometri, circa, da Manduria, fu, all’epoca, in gran parte demolita, con grave danno arrecato ad un sito di notevole interesse storico-archeologico, frequentato in epoca neolitica (VI-V millennio a.C.), protostorica-arcaica (II-I millennio a.C.) e romana (vedi P. TARENTINI, Manduria, ricerche topografiche ad est dell’abitato, in G. CARDUCCI, a cura di, Liber amicorum, vol. II, Manduria, Filo, 2003, pp. 993-1012, con bibl. prec.).

Da un punto di vista cronologico, si è sempre più orientati ad escludere l’origine di tali specchie in età preistorica e protostorica, orientandosi verso l’epoca storica. La costruzione della “Maliano”, ad esempio, viene ipotizzata in epoca posteriore all’VIII-VII sec. a.C., stando ai reperti (di età preistorica e protostorica) trovati al disotto della stessa a seguito di scavi operati  negli anni 1926-27 (vedi C. DRAGO, Specchie di Puglia, in “Bollettino di Paletnologia Italiana”, IX ,1954-55, p. 184).  L’ipotesi sepolcrale, piuttosto accreditata in anni precedenti, sembra perdere valenza per le nostre specchie più importanti. Interessanti dati, a riguardo, provengono dalla stessa “Maliano”, ove alcuni resti ossei trovati in una buca praticata nella roccia al disotto della specchia, sono ritenuti “pervenire da tombe diverse, distrutte forse dagli stessi costruttori della specchia, ed appartenenti agli antichi abitatori del posto” (vedi C. DRAGO, contr. cit.,  p. 181).  Si aggiungono i risultati di scavi condotti sulla “Schiavoni - Rotulafai” tra il 1935 ed il 1937, che esclusero la presenza, in tale monumento, di camere sepolcrali,  Scrive, in proposito, sempre C. DRAGO, contr. cit., p. 187 :” Superiormente [alla specchia Schiavoni] si trovarono scarsi frammenti  di vasetti gnathini [fine IV - inizi III sec. a.C.], di tarda età romana e finanche di età moderna; ma sorpassato lo spessore di appena un metro, fu tutto un susseguirsi di pietre informi, dagli spigoli vivi e taglienti, buttate alla rinfusa. Nessun osso umano e nessun manufatto venne mai in vista, per quanto attentamente cercati; ma soltanto pietre e terriccio, in grande quantità. Si smantellava un’intera collina e nulla si riusciva a trovare, altro che pietre […]. Molte osservazioni fatte alla Maliano trovarono conferma nello scavo della Schiavoni: in tutte e due nessuna traccia di camera sepolcrale e di porta, ma solo un muro di basamento circolare costruito indubbiamente col solo fine di poter frenare la forte spinta proveniente dalla grande massa di  pietrame formante la collina artificiale”.

Al di là, comunque, di tutte le problematiche  di tipo cronologico, strutturale e funzionale riguardanti le specchie (con opinioni a volte discordanti e non ancora giunte a conclusioni unanimemente condivise), resta il generale  abbandono in cui versano, di fatto, tali “monumenti” di pietre, alcuni distrutti, in ambito salentino, dal cosiddetto progresso; “monumenti”, invero, unici e suggestivi, verso cui occorre rivolgere la massima cura, attenzione e tutela, in quanto caratterizzanti il nostro habitat rurale  ed i contesti storico-insediativi di riferimento.

Paride Tarentini

 

 

 











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