Cinque gli appuntamenti per la prossima settimana: le relazioni di Ettore Tarentini, Caterina Arnò, Patrizio Fontana e Ilaria Marzo, nonché la visita guidata alla chiesa Madre con Angela Greco
Questo il resoconto dell’attività della scorsa settimana del centro di formazione culturale permanente “Plinio il Vecchio” di Manduria.
Mercoledì 15 gennaio: dr. Saverio Fella, “L’inquinamento delle acque”
Il dr. Fella ha affrontato il tema dell’inquinamento delle acque inteso come il degrado della qualità dell’acqua causato dall’immissione di sostanze che ne alterano le caratteristiche fisico-chimiche e che ne impediscono il normale utilizzo. Queste sostanze, di origine solida, liquidano o gassosa, hanno effetti diversi in base alla loro quantità, alla loro pericolosità e alla fragilità degli ambienti o corpi idrici in cui vengono rilasciate direttamente o indirettamente senza un adeguato trattamento. Possono essere di origine antropica, cioè immesse dall’uomo, o di origine naturale o idroelettriche. Ognuno di questi corpi idrici come laghi, fiumi, oceani, falde acquifere e acque sotterranee sostiene la vita con un continuo interscambio tra le acque stesse, i sedimenti, il suolo, l’aria.
Il consumo di acqua, rende sempre più critico l’approvvigionamento.
Tra i settori produttivi l’agricoltura è al primo posto a livello mondiale con il 70% del consumo di acqua dolce. Il settore industriale è il secondo in ordine di consumo con il 20%. Infine, l’uso domestico (civile) è quello che spende minori volumi d’acqua (10%), ma di qualità più alta.
L’utilizzo di acqua dolce per l’industria (20%) provoca i danni più gravi all’ambiente. Per quasi ogni tipo di lavorazione occorre acqua che viene poi riversata, nella gran parte dei casi senza alcuna depurazione, nei corsi d’acqua e nel mare. Infatti sostanze come l’acido cloridrico, la soda, lo zolfo, l’amianto e l’acido solforico, sono altamente tossiche per la fauna acquatica e provocano danni irreparabili.
Gli usi civili dell’acqua (10%) comprendono quelli per l’alimentazione umana, per la preparazione del cibo, per l’igiene personale e degli ambienti domestici e pubblici. In casa ogni individuo consuma da 100 a 200 litri di acqua potabile al giorno.
Un altro fattore ad inquinare le acque marine sono le reti dei pescatori, in cui rimangono imprigionate balene, delfini e altri animali marini.
Per ridurre l’inquinamento delle è utile:utilizzare materiali biodegradabili, limitare l’impiego della plastica, cercare di contenere quanto più possibile la produzione dei rifiuti; adoperare detergenti naturali, come quelli a base di limone o di aceto bianco, ed evitare detersivi chimici; non buttare nello scarico dei sanitari oggetti solidi né altre sostanze come vernici, solventi e medicinali;
in giardino usare solo concimi e diserbanti naturali, poiché prodotti di sintesi sono un vero problema per le falde acquifere.
Dato che l’acqua copre oltre il 70% della superficie terrestre ed è una risorsa molto importante per le persone e per l’ambiente, è fondamentale essere consapevoli dell’inquinamento dell’acqua e agire per fermarlo, al fine di impedirne le conseguenze sulla salute e sull’ambiente.
Mercoledì 16 gennaio: dr. Andrea Dimitri, “I manicomi e le istituzioni psichiatriche. La storia italiana”
Nell’ultimo incontro si è parlato in maniera approfondita della storia della ascesa e della fine della istituzione manicomiale. Un doveroso ricordo, un percorso che ha messo in luce come una istituzione può diventare pericolosa per la nostra società quando si disancora da un controllo etico ed umano. Si sono analizzati i fattori psicologici, sociali e gruppali che possono portare all’istaurarsi di meccanismi atroci ed aberranti che hanno come solo fine quello di mantenere l’ordine precostituito e che tendono a fissare l’istituzione in delle fondamenta rigide ed autarchiche, senza nessuna possibilità di cambiamento.
Si è parlato di come in centinaia anni di storia di manicomio questa istituzione abbia “rinchiuso” esseri umani senza sa una missione di cura, ma bensì di controllo e confinamento.
Si è analizzato come questa organizzazione sia rimasta così tanto invariata e come la stereotipia abbia portato alla normalità di pratiche disumane.
Si è potuto apprezzare la freschezza del cambiamento, la umanizzazione delle persone, il tentativo di ritorno alla loro umanità avvenuto dopo gli anni ‘60 per arrivare al 78, con la legge Basaglia, alla chiusura dei ricoveri presso queste strutture. Ed infine, tornando ai giorni nostri, l’organizzazione dei servizi per la salute mentale che partono dal presupposto di malato come tale ( persona da curare) e non più accreditato, non più fatto passare sotto “l’etichetta alienante del folle pericoloso”.
Venerdì 17 gennaio: don Patrizio Missere, «I vangeli: aspetti storici e letterari»
Il relatore ha iniziato il suo intervento precisando che tratterà dei vangeli in quanto fonti storiche e letterarie e non a fini catechetici.
È noto che i vangeli sono quattro, attribuiti rispettivamente a Marco, Matteo, Luca e Giovanni. Sono testi che suscitano tuttora, a distanza di secoli dalla loro redazione, numerosi interrogativi. Anche se la fede cristiana non si fonda su un libro ma sulla Persona di Gesù. Figlio di Dio morto e risorto, i vangeli svolgono un ruolo determinante nella definizione di questa fede e continuano a interpellare credenti e non credenti.
Si inizia col precisare il significato esatto del termine «vangelo», proveniente dal greco «eu-anghèlion», che può essere reso con «annuncio gioioso», «buona notizia». In epoca ellenistica e romana, la parola «vangelo» designa l’annuncio di una vittoria, una risposta oracolare da parte della divinità, come pure ogni evento importante relativo all’Imperatore venerato come un dio («augusto»): l’intronizzazione, la nascita e l’ingresso nella maggiore età di un figlio, i suoi messaggi o decreti. Questo uso profano è documentato dall’iscrizione di Priene (9 a. C.), in Turchia. Di conseguenza si ritiene che l’uso cristiano di «vangelo», applicato al Messia Gesù, abbia rappresentato una critica alla divinizzazione dell’Imperatore ed equivalga all’affermazione che con Cristo, unico vero Signore, si instaura il Regno di Dio contro il quale i regni umani non possono nulla.
Il vangelo su Gesù morto e risorto, annunciato dagli apostoli e dalla Chiesa nascente, venne dapprima predicato oralmente. Si è abbastanza concordi nel ritenere che si debba ascrivere a Marco il merito di aver redatto il primo testo che riporta i gesti e le parole di Gesù; è stato Giustino (morto nel 165 circa) che poi ha applicato il termine «vangelo» alle «Memorie degli Apostoli», inizialmente anonimi perché espressione della comunità credente.
Il percorso che ha portato alla redazione dei vangeli, come li conosciamo noi, è avvenuto in tre tappe. Nella prima tappa la comunità prepasquale si concretizza come un piccolo gruppo di discepoli raccolti attorno ad un maestro e da lui scelti. La seconda riguarda la predicazione apostolica e della primitiva comunità cristiana. In questa fase si sono consolidate le tradizioni, in parte scritte in parte orali, confluite nei vangeli e nelle lettere paoline. Si tratta del «libretto dei racconti di passione e risurrezione», centrale nel primo annuncio missionario, di un’ipotetica raccolta dei «detti del Signore» (la fonte-Q), di brevi professioni di fede su Gesù Figlio di Dio risorto senza riferimenti espliciti alla croce attestate nelle lettere di Paolo, scritte prima dei vangeli (50-60 d.C.) e contenenti a loro volta alcuni detti del Signore non recepiti da essi.
Gli evangelisti sono autori nel senso pieno, moderno, del termine. Sia Giovanni sia Luca lasciano intendere di essersi basati su diverse fonti e di non avere avuto la pretesa di dire tutto. Il primo vangelo in ordine cronologico è, come già detto, quello attribuito a Marco, scritto negli anni 65-70 d.C., prima della caduta di Gerusalemme, forse a Roma in occasione della prima persecuzione neroniana. Matteo, per la sua redazione avrebbe, attinto da fonti proprie (ad esempio gli episodi dell’infanzia), da Marco per quanto riguarda i fatti e dalla fonte Q per i detti (ad esempio le beatitudini e il Padrenostro). Lo stesso vale per Luca che con Marco condivide i fatti e con Matteo la fonte Q, oltre a materiale proprio (ad esempio l’annunciazione, la parabola del padre misericordioso). Giovanni avrebbe utilizzato materiale indipendente o materiale condiviso ma fortemente rielaborato.
Nel corso del II secolo, la comunità credente riconobbe come «canonici» tutti quei testi risalenti agli apostoli, anche se alcuni redatti da loro discepoli, come nel caso di Luca e Marco. Non si trattò di un atto compiuto da un’autorità ma la normale conseguenza di come erano nati i vangeli: in seno alla comunità credente che vi si vede riflessa per intero. Questo non vale ad esempio per i cosiddetti «apocrifi» alcuni dei quali sconfinavano nel fantasioso. La parola «apocrifo» significa «nascosto», non nel senso di ‘occulto’, ma nel senso di ‘escluso’ dal canone neotestamentario condiviso dalla maggioranza delle chiese. Essi in realtà attingono dai canonici e sono posteriori al I secolo. Alcuni appartengono a gruppi ereticali, come i vangeli gnostici; altri sono racconti leggendari, a integrazione soprattutto delle scarne notizie sull’infanzia di Gesù dei canonici; alcuni, pochi in realtà, contengono informazioni attendibili e detti autentici.
La questione del valore storico dei vangeli è complessa e delicata. La storia, infatti, è parte integrante nell’esperienza cristiana: la rivelazione è storica, non mitica. In questa sede ci si limita a rammentare i due possibili percorsi da intraprendere per documentare la sostanziale storicità del dato evangelico: la «critica interna», che analizza il materiale evangelico sottoponendolo al vaglio dei noti criteri della discontinuità, molteplice attestazione, conformità all’ambiente palestinese, spiegazione sufficiente ecc.; la «critica esterna», che esamina le garanzie di attendibilità offerte dai trasmettitori.
Il «criterio di discontinuità» afferma che sono da ritenersi storicamente autentici i dati evangelici non riconducibili alle concezioni del giudaismo e a quelle posteriori della chiesa. Un esempio è quello dell’uso di «abbà», in aramaico un vezzeggiativo affine al nostro «papà», «babbo», riportato anche da san Paolo. È un uso sconcertante: non solo Gesù si rivolge a Dio chiamandolo «abbà», ma autorizza peccatori e pubblicani a fare altrettanto! Un altro esempio: Gesù passa sul litorale del lago di Tiberiade, vede alcuni pescatori e dice loro: «Venite, vi farò pescatori di uomini». È un totale capovolgimento della prassi del tempo, secondo la quale i maestri ebrei si mettevano sulle piazze o ai crocevia e predicavano, lasciando liberi gli ascoltatori di decidere se seguirli o meno. Gesù supera il rigore dei costumi socio-religiosi del tempo dimostrando libertà nei confronti delle leggi rituali di purità allora praticate, circondandosi di donne dalla vita non sempre ineccepibile, da esattori di tasse, da peccatori di ogni risma, da emarginati: in Lui manca la regolamentazione globale della vita personale e comunitaria che si trova nel giudaismo.
La «discontinuità» si manifesta anche nel rapporto con la cristianità posteriore. Gesù viene da Nazaret (località dalla quale si diceva che non potesse venire nulla di buono), è sottoposto all’esperienza umiliante delle tentazioni, quasi in balia di Satana, viene ucciso con la morte più ingloriosa, il «supplizio degli schiavi». Gli apostoli, le «colonne» della chiesa, sono presentati nei vangeli come ottusi, esitanti, codardi e persino traditori. Vi sono numerosi episodi e detti di Gesù che, se non fossero avvenuti realmente, non si capisce perché sarebbero stati inseriti nelle Scritture. Come ad esempio la scena del battesimo al Giordano, in cui Gesù appare in mezzo ai peccatori per partecipare a un rito per la remissione dei peccati e in subordine a Giovanni Battista: che senso avrebbe avuto, per i cristiani, «inventarla», proprio negli anni in cui prendevano piede le polemiche con alcune sette battiste che consideravano Giovanni come il vero Messia?
Il «criterio di continuità», invece, afferma che è da considerare autentico un gesto o un detto di Gesù che sia in stretta conformità non solo con l’epoca o l’ambiente linguistico, geografico, politico, sociale o culturale dello stesso Gesù, ma sia pure intimamente coerente con il Suo insegnamento e con la Sua immagine generale. Ebbene, l’ambiente sociale, religioso, geografico e linguistico è ben rappresentato vangeli, senza anacronismi eccessivi o sospetti. Si tratta in definitiva di opere in i dati storici e biografici sono subordinati all’annuncio di Cristo morto e risorto, tali da costituire un vero e proprio «genere letterario» nuovo.
Programma prossima settimana: 20- 24 gennaio 2025
Lunedì 20 gennaio: ing. Ettore Tarentini “Finestre nell’infosfera; identità e documenti digitali;”
Martedì 21 gennaio: arch. Caterina Arnò “La raccolta di Scipione Borghese – Parte prima”;
Mercoledì 22 gennaio: dr. Patrizio Fontana “Grano Sen. Cappelli, contributo al benessere e valore nutrizionale. Intervento della dott.ssa Nadia Franco;
Giovedì 23 gennaio: prof.ssa Ilaria Marzo “Ed io ti canto diletta Madonna…” Il volto delle donne tra finzione letteraria ed esigenze economiche;
Venerdì 25 gennaio: prof.ssa Angela Greco “Visita guidata alla chiesa Madre – SS. Trinità di Manduria”.