«La giostra della società mass mediatica gira a vuoto. Grandi strilli che servono a ribadire la perenne legge dello scoop»
«La scomparsa di Sarah ha acceso i riflettori su una fetta di umanità scomparsa molto tempo prima della quindicenne». Di Avetrana, lo scrittore Omar Di Monopoli conosce ogni anfratto al punto di fare del paese lo scenario palpitante di piccoli, grandi, capolavori letterari. Tra noir e western post-atomico: «Nel Buio - Storie di fantasmi nel Salento», «Nuclear Boys», «Uomini e cani» premio Città di Milano nel 2008. «Ho l'idea che questa fuga possa essere tale - racconta - ma è l’emozione a parlare, la speranza di rivedere Sarah viva». Della «sua» Avetrana rompe l’incanto letterario: «Conosco la strada in cui si è volatilizzata la ragazza. Lì vicino c’è la sede della Protezione civile. La telecamera della videosorveglianza non ha registrato nulla? Mi sembra strano che non sia passata nemmeno un'auto. Spero che, nell’eventuale fuga, c'entri un atto volontario, per quel che può contare la volontarietà nel caso di una quindicenne...».
Perché parla di una fetta d’umanità scomparsa prima di Sarah?
«Provi a leggere i giornali o a guardare i tg. Questo pezzo di Puglia e di Salento viene descritto come un luogo dimenticato da Dio. In parte ciò risponde a verità. Una terra di nessuno, un Salento che non è da cartolina, che non è percorso nemmeno da quella “febbre” dell’industrializzazione e della modernizzazione che negli ultimi trent'anni ha contagiato soprattutto Brindisi e Taranto, più di Lecce».
Una stoccata ai mass media...
«E' un meccanismo infernale, non aiuta di un millesimo le indagini. Se facessimo una somma dei servizi televisivi e giornalistici sull'argomento, ci sarebbe un'unica linea orizzontale. La giostra della società mass mediatica gira a vuoto. In quanti se ne accorgono? Grandi strilli che servono a ribadire la perenne legge dello scoop. Poi ci sono tg nazionali che parlano di “Avetrano ”, ripetendo l’errore all’infinito. O grandi giornali che collocano il paese in provincia di Bari. Tutto ciò risponde a una legge di mercato, la sovraesposizione è lo specchio di tutto questo. Avetrana e la famiglia di Sarah sono al centro del vortice, ma mi chiedo ancora: cosa ha prodotto tutto ciò in termini di risultati nelle ricerche della ragazza scomparsa?».
Torniamo al fatto che Avetrana
sia scomparsa prima di Sarah...
«Questo, come altri nel Salento, è un “non luogo”. La popolazione è scomparsa da un ventennio, dalla ribellione popolare contro l'installazione della centrale nucleare negli anni '80. Fu una fiammata, forse l’ultima giornata rivoluzionaria pugliese dell’800 per parafrasare Alain Touraine. Poi Avetrana e questo pezzo di Salento sono tornati nell'invisibilità più totale, con tutti i paesi che loro somigliano, i paesi del Mezzogiorno. Piccoli e grandi centri senza una spinta propria e un “santo” politico a Roma».
Ma ora gli occhi di Roma sono qui...
«E' paradossale. Se dovessi trovare qualcosa di ottimistico, me la caverei con una battuta paradossale: ora gli avetranesi si sentono raccontare il proprio paese. Ma non c'è niente di positivo se è il grigiore a occupare le nove colonne in cronaca nazionale. Giusto pensare di volersi scrollare di dosso quel grigiore, ma se è vero che siamo dimenticati dallo Stato possiamo dire che solo noi possiamo invertire la tendenza. Qui lo stato sono i Fas, la retorica degli investimenti e dello sviluppo. Mi auguro che vedersi rappresentati così, grigi e vuoti, induca a una “scossa”. La favola della Puglia luogo magico non regge in questi paesi fermi all’Italia anni ‘50: zero lavoro, solo l'oratorio, strade con crateri lunari. Ecco perché la scomparsa di Sarah è stata preceduta dalla scomparsa di una certa Puglia».
C’è anche, diremmo soprattutto, il dramma di una famiglia.
«Forse le indagini annaspano. Mi sono fatto l'idea che, subito dopo la scomparsa di Sarah, l’esiguità di uomini e mezzi non abbia aiutato l’in - chiesta. Forse all’inizio sono state tralasciate informazioni importanti come quella del calendario con le date segnate. Forse anche la famiglia, involontariamente, non si è soffermata su qualche dettaglio. Ma parliamo di una famiglia che ha subito un vero e proprio ”assalto” dall’esterno. Bisogna comprenderne lo stato emotivo».
Ha parlato di fuga, ha parlato di abbandono. Due termini che si toccano.
«Queste sono terre nelle quali chi vive prova un fortissimo senso di abbandono. Personalmente l'ho vissuto sulla mia pelle, ho cercato anche di emigrare, ma ci sono radici emotive che non si riesce ad estirpare, quasi una compensazione di quell’antico abbandono. Sì, c’è una volontà di scappare dall'abbandono, mi rendo conto che forse è eccessivamente letterario quel che dico in una circostanza così drammatica, ma noi meridionali siamo perennemente “fuori sede”. Sradicati e mancanti: di Stato, di lavoro, di affetti. Sarah con la sua mancanza diventa espressione di una mancanza più grande. Sembra un po' retorico, ma da queste parti bisogna lavorare culturalmente, l'unico modo di non far sentire abbandonati i ragazzi è proporre loro un'alternativa valida. Nelle pagine scritte e nella parola; nell'aggregazione, nell'incontro con altri mondi, con altre persone. C'è una necessità autoreferenziale nelle province meridionali, ma il ri ferimento non può essere la voce della piazza. Ai ragazzi va data la possibilità di fare scelte, fornendo servizi, cultura, l’occasione di maturare; in provincia il confronto è stereotipato. Ad Avetrana con tutto il rispetto del luogo, l'oratorio - dove io sono cresciuto - non basta più».
FULVIO COLUCCI