- giovedì 06 febbraio 2025
Al capezzale, tutta la famiglia vegliava su un corpo agonizzante. Angela, smagrita, con il volto solcato dalla sofferenza, gli occhi lividi e lo sguardo spento, esprimeva con voce tremante le sue ultime volontà
In quel limpido e gelido giorno, la tramontana rendeva ancora più pungente l’aria marzolina. Sui terrazzi dei bianchi fabbricati, lastricati di ruvide chianche leccesi, il fumo che fuoriusciva dai comignoli diffondeva nell’aria il suo acre odore.
Un tondo braciere, alimentato costantemente a carbonella e posto al centro della stanza, non riscaldava completamente quel freddo ambiente, arredato con una scura cassapanca che custodiva un modesto corredo e un comò con un’ampia cassettiera, sovrastato da uno specchio dietro cui era stata riposta, profumata e ordinata, la biancheria intima.
Foto sbiadite di cari estinti, cerei lumicini, soprammobili e ricordi di doni nuziali occupavano interamente la superficie grezza e legnosa del cassettone. Accostato alla parete, un letto a due piazze con spessi materassi in pagliericcio e un’intelaiatura in ferro battuto era affiancato da due minute mensole e, sul muro, sormontato dall’effige della Vergine. Il tutto completava l’arredo di quel vano sobrio, caratterizzato da un soffitto in mattoni tufacei a vista, a forma di stella, realizzato da un esperto mastro muratore.
Le pareti scalcinate e una porta-finestra che si affacciava sull’esterno dell’abitazione, dove, poggiato sul davanzale, si trovava il temuto uccello della morte, preannunciato dal canto della civetta, rendevano appena luminosa quell’angusta camera.
Al capezzale, tutta la famiglia vegliava su un corpo agonizzante. Angela, smagrita, con il volto solcato dalla sofferenza, gli occhi lividi e lo sguardo spento, esprimeva con voce tremante le sue ultime volontà. Era stata lei a volerli tutti raccolti intorno al letto, quel giorno. Suo marito le carezzava la fronte gelida, mentre Adele le stringeva la mano, un gesto che racchiudeva, implicitamente, l’abbraccio degli altri figli, silenziosi e addolorati.
«La notte appena trascorsa mi sono apparsi in sogno i miei cari genitori; erano inquieti. Vestivano di bianco e irradiavano questa stanza con una luce abbagliante. Ho provato un’immensa gioia nel rivederli e, silenziosi e sorridenti, mi venivano incontro. Ma all’improvviso sono svaniti nel nulla, mentre subentravano spaventose ombre maligne che si aggiravano nella stanza.»
La donna, suggestionata, raccontava i dettagli del suo sogno agli astanti.
«Ricordo bene i nostri amati nonni. Ci mancano tanto!» rispose nostalgica Adele.«Loro mi hanno voluto mandare un segnale.» Sospirò affannosamente la moribonda. «È giunta l’ora dell’addio, miei cari.» Sentenziò, rassegnata la donna.
«Ma cosa dici, Angela!» «Ma cosa dici, mamma!» Irruppero, quasi all’unisono, Adele e suo padre, biasimandola.
«Desidererei che in questa casa regnasse la pace, così come è stato fino a oggi.» Con fatica, la donna dettava le sue volontà. «Tu, Adele, ti prenderai cura della famiglia. Confido in te, figliola…»
Furono le sue ultime parole, e il suo sguardo si spense.
Adele, allora dodicenne, non deluse la madre: seppe accudire il padre e allevare la sorella e i fratelli, prendendosi cura di loro con la premura di una moglie e di una madre.
L’oblio avvolgeva la stanza da letto dell’estinta, allestita a camera ardente. Lumicini votivi, vibranti e posti ai lati del feretro, emettevano una flebile luce che illuminava appena quel tetro vano e il povero mobilio, celato da violacei paramenti funebri. I lenzuoli bianchi occultavano gli specchi, per impedire all’anima vagante della defunta di riflettersi in essi. Porte e finestre, spalancate anche di notte, permettevano ad altre anime buone di entrare o allontanarsi dall’abitazione, di incontrare o condurre l’estinta nell’aldilà.
Al capezzale della defunta, vestita con l’abito delle nozze, annerito dalla tintura del diavolo, parenti e amici più stretti si avvicendavano nella veglia funebre.
Il suono di campane a martello annunciò la spirazióni[[1]], e rapidamente a Manduria si diffuse la notizia della dipartita della povera donna. Ci fu una grande partecipazione cittadina alle esequie. Il corteo funebre si snodava, come un lungo serpente, lungo la via che conduceva dalla casa dell’estinta alla chiesa matrice, la cui struttura originaria risaliva probabilmente all’epoca normanna ed era impreziosita da un rosone romanico. Angela era stata una madre e una donna esemplare. Molti la ricordavano come adorabile e altruista. Dietro il carro funebre, a scortare il feretro, c’erano il marito e i figli, che, tenendosi per mano, affranti e con le lacrime che rigavano i loro volti, seguivano mestamente la salma, mentre la banda musicale eseguiva un requiem. Antonio, addolorato, portava in segno di lutto un bottone nero applicato al collo della giacca, una cravatta dello stesso colore e una fascia nera che cingeva il braccio destro. Adele, che non distoglieva lo sguardo dal feretro, era anch’ella avvolta nel colore del lutto: un lungo vestito su cui era cucito un fiocco lucido e afflosciato; le calze scure, così come scure erano anche le sue calzature.
La bara, in stile povero, era stata scelta da Antonio, seguendo la volontà della moglie, espressa qualche tempo prima della sua morte. Sorretto a spalla, il feretro entrava lentamente dall’ampio portale della chiesa, dove due leoni stilofori vigilavano dal sagrato scalinato dell’antica collegiata a cinque navate, caratterizzata da un soffitto ligneo. Un campanile a cinque piani sovrapposti, danneggiato nel 1743 da un terremoto e successivamente restaurato, si ergeva nella parte retrostante della cattedrale.
Walter Pasanisi
[[1]] Spirare.