venerdì 29 novembre 2024


13/01/2018 10:22:01 - Manduria - Cultura

In esso si parla di una donna rimasta vedova che, vivendo in condizioni di miseria, affida come domestico il proprio unico figlio, che per giunta é anche sempliciotto, ad una vecchia maga

 

Nel passato il mese di gennaio - che dopo la Befana non ha più ricorrenze importanti - sembrava non finire mai ed era l’occasione giusta per ascoltare, dinanzi al focolare, la narrazione di una fiaba o di un racconto.

Trascorsa l’Epifania (che tutte le feste porta via), proverò anch’io a colmare il vuoto, lasciato dalle festività appena terminate, con una nuova fiaba in dialetto mandurino.

Il racconto dal titolo “Lu cuntu ti lu Giseppu lu babbu”, come tutti gli altri, l’ho appreso da mia nonna materna, che lo teneva bene a memoria.

In esso si parla di una donna rimasta vedova che, vivendo in condizioni di miseria, affida come domestico il proprio unico figlio, che per giunta é anche sempliciotto, ad una vecchia maga (ecchia masciara).

Il ragazzo, di nome Giuseppe, trova dalla maga un ambiente ideale ed è trattato come un figlio. Abita in una comoda casa ed ha a sua disposizione una mensa o tavola fatata che, pronunciando la formula magica “banca consa tàula” (mensa apparecchia la tavola), viene ad apparecchiarsi di tutto punto.

Ma, come leggeremo, la povertà di intelletto del ragazzo è alla base di una divertente scenetta allorché la maga, costretta ad assentarsi per una settimana, parte per la sua destinazione non senza aver spiegato al giovane garzone cosa fare per imbandire la tavola e sfamarsi.

Lo sciocco Giuseppe, effettuato con successo il primo tentativo, poi dimentica le parole esatte della formula magica ed è costretto ad attendere sfinito il ritorno della padrona di casa per poter nuovamente mangiare.

Della restante trama della fiaba, anche allo scopo di creare un giusto clima di attesa,  parlerò invece al momento della pubblicazione della seconda parte.

Anticipo, soltanto, che il racconto locale trova alcuni riscontri in altre fiabe popolari italiane e non.

Infatti, un motivo narrativo analogo, a quello che -come anticipato- figura in questa prima parte della storia, è presente ne Lo cunto dell'Uerco (Il racconto dell'orco) tratto dal Pentamerone, ossia Lo cunto de li cunti di Giambattista Basile (1).

Proprio in questa fiaba, che narra le vicende di Antuono de Marigliano un ragazzo scansafatiche che la madre affida, come garzone-domestico, ad un orco, compare per la prima volta un tovagliolo magico che il giovane riceve dal padrone come regalo per la madre. Il tovagliolo, quando si pronunciava la formula: « Aprete tovagliulo», si copriva di piatti, posate, e vivande.  

Come noto la fiaba del Basile, scritta -come il resto dell’opera- in lingua napoletana e edita intorno al 1634, è stata ripresa dai  fratelli Grimm con il titolo “Il tavolino magico, l’asino d’oro e il randello castigamatti” (2).

Nella fiaba degli autori tedeschi, che racconta le vicende dei tre figliuoli di un povero sarto, andati in giro per il mondo in cerca di fortuna, si parla nuovamente di un tavolino magico avuto in dono dal maggiore di loro. Anche questo tavolo, quando veniva messo a terra e si diceva: « Tavolino, apparecchiati! » si copriva di una linda tovaglietta e di cibi succulenti.

Infine, per avvicinarci ai giorni nostri, va detto che l’argomento della fiaba del Basile compare, solo in parte, nel racconto “Ari-ari, ciuco mio, butta danari!” facente parte della raccolta Fiabe italiane di Italo Calvino.

In quest’ultima storia, però, non vi é il motivo della tavola e della tovaglietta fatata, ma solo quello dell’asino che produce monete d’oro (3).

Senonché, l’analogia appena individuata si ferma qui.

A parte la trovata narrativa della tavola (o tovaglietta) magica ed il carattere insolitamente bonario e generoso dei personaggi (in un caso l’orco, nell’altro la vecchia maga) presso cui i protagonisti (Antuono o Giseppu) sono mandati a servizio,  per il resto la fiaba in vernacolo mandurino ha una trama assai diversa da quella del Basile (e dalla successiva versione dei Grimm).

Nella fiaba del Basile, come in quella dei Grimm, il racconto è incentrato sui “tre doni” magici che i protagonisti (Antuono nella prima o, nella seconda, i tre figli del sarto) ricevono, ossia: l’asino che butta monete d’oro, il tovagliolo o il tavolino prodigioso e,  infine, il bastone che picchia a comando il malcapitato di turno.

I primi due doni (l’asino e la mensa) sono sottratti dal solito oste infingardo che nella notte, mentre i legittimi possessori alloggiano nella sua locanda,  li sostituisce con altri animali (nel caso dell’asino) o oggetti (nel caso della tavola) simili, ma privi di poteri magici.

Alla fine, per ristabilire la giustizia interviene il terzo dono (il bastone magico) che servirà per picchiare l’oste e costringerlo a restituire asino e tovaglia.

In tal modo, una volta tornati a casa, i protagonisti delle due fiabe (del Basile e dei Grimm) vedono concludersi la loro storia con un lieto fine.

Nella fiaba mandurina invece, come vedremo nella seconda parte, la trama del racconto è ben diversa e narra le peripezie compiute dal protagonista Giuseppe, quando gareggia con gli altri pretendenti per conquistare la mano di una principessa.

In tutti i racconti, però, vi è un denominatore comune, che il Basile ha saputo sintetizzare nel proverbio finale, che suggella la conclusione della storia e ne rappresenta la morale: “a pazze e a peccerille dio l'aiuta " (letteralmente, “la provvidenza assiste i fanciulli e gli insani di mente”). 

Con ciò l’autore ha voluto dire che non sempre la fortuna aiuta le persone più capaci e meritevoli  e che gli insani di mente, come i fanciulli, possono sempre confidare in una speciale protezione della Divina Provvidenza.

E’ proprio questo l’insegnamento pratico che si trae anche dalla fiaba che ci accingiamo a leggere.

Il racconto, che riporto nella parlata vernacola di Manduria, sarà pubblicato in due parti.

Auguro buona lettura.

 

 

 

LU CUNTU TI LU GISEPPU LU BABBU (4).

“Nc’era ‘na fiata  ‘nna cristiana ca l’era muertu lu maritu e ca tiniìa ‘nnu fijiu ti nomi Giseppu. Era custu ‘nnu agnoni ‘nnu picca semplici e tutti lu chiamàunu lu Giseppu lu babbu.

La mamma, ca era puuredda e non ci la facìa cu manna a ‘nnanti la famija, ticisi cu lu menti a sirviziu ‘ddo ‘nna ecchia masciara.

Lu Giseppu, allora, si ni scìu a casa ti la ecchia e questa lu tinìa com’a ‘nnu fiju e no’ li facìa mancari nienti.

La ecchia abitava ‘ntra ‘nna bella casa e tinìa ‘nna banca fatata ca, sola sola, priparava ogni beni ti Ddiu.

‘Nnu giurnu la masciara tissi allu Giseppu: «Giseppu, Giseppu, iti ca jù aggi’a mancari ‘nna sittimana pi sciri a ‘nna riunioni cu l’otri masciari. Mi raccumannu mò ca rimani sulu, ‘bbata alla casa e ci tieni fami sai com’ha fari, ani nanti alla banca e tini: banca consa tàula!».

«Sini, sini!» risposi lu Giseppu «Sàcciu com’aggiu ticiri! Ca propria babbu mi faci?».

La ecchia allora si ni scìu skuscitata, critennu ca lu Giseppu era capitu tuttu.

Toppu a ‘nnu picca, lu Giseppu pijou fammi e si ccucchiòu alla banca.

«Banca consa tàula!» critòu e, sùbbutu, sobbra alla banca assìu ogni beni ti Ddiu. Lu Giseppu, prestu, si mesi a manciari e si spicciòu tutti cosi.

Lu giurnu toppu, lu Giseppu, ca era pijatu arretu fami, si bbicinòu alla banca ma siccomu si n’era scurdatu comu si ticìa critòu: «Banca òju mànciu!».

Ma sobbr’alla banca no’ assìu nienti.

«Mannaggia!» tissi lu Giseppu. «Com’eti ca si tici? Eh…banca tegnu fami!». Ma la banca rimania acanti.

Lu Giseppu allora si zziccòu a stizzari e tissi: «Itila ‘sta pocca ti banca! (allu Giseppu, quannu si stizzava, li ‘ccappava puru la lengua) Non ‘mboli ni sapi propria nienti!».

E cussì rimanìu senza manciari e si mesi a spittari la ecchia.

Spetta e spetta, passata la sittimana, questa turnòu a casa.

Quannu trasìu critòu: «Giseppu, Giseppu!».

Ma lu Giseppu non ci rispunnìa.

«Mò e bbiti ca cuddu babbu ti agnoni è ccappatu ‘ncunu uài! Giseppu, Giseppu!» critòu arretu la ecchia.

A tott’a ‘nna fiàta, quannu era pirduto ogni spiranza, sintìu com’a ‘nnu lamientu: «Ce ‘Seppu e ‘Seppu, ca jù sta’ muèru ti fami!».

La ecchia spiòu sott’alla banca e beddi lu Giseppu stinnicchiatu an terra.

«Ce sta’ faci dda sotta, uè Gisé!» si stizzòu la masciara.

«Statti citta ca hai ti quannu ti n’ha sciuta ca no’ manciu!» risposi lu agnoni.

«Comu, ca no t’era lassatu titttu ca ‘nc’era la banca!» tissi la ecchia.

«Sini! Jù tinìa fami e quedda brutta ti banca no’ n’è bulutu sapi nienti!» tissi lu Giseppu.

«Ah si? E tuni comu ha tittu?» ddummannòu la ecchia.

«Comu mi ticisti tuni: banca òju manciu!» tissi lu Giseppu.

«Ma propia babbu sinti!» si stizzòu la ecchia. «Jù t’era tittu: banca consa tàula! Apposta la banca no’ ti sintìa!».

A tott’a ‘nna fiata, allu sèntiri quiddi paroli, la banca feci assiri ogni beni ti Dddiu e lu Giseppu e la ecchia si ssittàrunu an tàula e manciarunu an grazia ti Ddiu.

 

  (Continua.)

 

 

 Giuseppe  Pio Capogrosso

 

 

1) Giambattista o Giovan Battista Basile (1566–1632), “Lo cunto dell'Uerco” (Il racconto dell'orco) trattenimento primo della prima giornata tratto dal Pentamerone, ossia Lo cunto de li cunti. Faccio presente, non avendolo fatto in quella sede, che anche la Fiaba del Re della colonna, pubblicata in tre riprese su questo giornale a partire dal 15 Gennaio 2016, presenta molti elementi e vicende comuni con il racconto della principessa Lucrezia (detta Zoza), che fa da cornice narrativa all’opera di Basile e da cui derivano le altre quarantanove fiabe della raccolta.

2) Jacob e Wilhelm Grimm, fiaba n.36 “Il tavolino magico, l’asino d’oro e il randello castigamatti”. Fiabe (titolo originale: Kinder- und Hausmarchen), 1812-15. Di una tovaglia magica (o apparecchiatitovaglietta) si parla anche nella fiaba n.54 della stessa raccolta dei Grimm, dal titolo Zaino, cappelluccio e cornetto.

3) Italo Calvino, “Ari-ari, ciuco mio, butta danari!”,  Fiabe italiane,  1956.

4) Raccontato dalla mia ava materna Modeo Filomena vedova Mandurino, classe 1912,  prim’ancora dalla di lei madre Doria Immacolata, e raccolto dallo scrivente.

5) Nelle immagini: Georg Mühlberg (1863-1925) illustrazione per lla fiaba dei Grimm “Il tavolino magico, l’asino d’oro e il randello castigamatti”; Giovan Battista Basile, ritratto.











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