Completato il suo restauro
Il recente restauro della pittura murale del battistero della Collegiata SS. Trinità di Manduria, voluto dall’Arciprete Mons. Franco Dinoi, mi spinge a formulare delle ipotesi sull’appartenenza dello stemma gentilizio collocato nella parte inferiore del manufatto.
Leonardo Tarentini ci racconta che la cappella del battistero era dedicata al “...Nome SS. di Gesù eretta da un tal Filippo Corcioli nel 1572. Il padronato di essa passò in eredità ad Ottavio Sorano, poi a Leonardo Barbero, finalmente alla famiglia Barci. Dietro al presente quadro in tela che fu dipinto nel 1620 da Giovanni Papagiorgio, ateniese, si vede ancora un affresco” (1). Mentre Massimo Guastella riporta che “La pittura mostra la presenza di uno stemma nobiliare ovale con elefante stante che indica il patronato.”(2).
L’emblema araldico, valorizzato e reso meglio leggibile dall’intervento di restauro che ha consentito di apprezzarne i particolari (ad es. i nastri svolazzanti intorno al cartiglio, prima non visibili) raffigura effettivamente un elefante riprodotto al naturale, stante sulla pianura erbosa, su fondo azzurro. Il restauro ha anche svelato l’esistenza di un motto latino, inscritto nell’ovale dello stemma, che mi riservo di decifrare meglio.
Le caratteristiche, quindi, mi inducono a pensare che si tratti dello stemma gentilizio degli Elefante, antica famiglia mandurina, presente già nel secolo XVI, che, nel suo ramo “nobile”, ha annoverato preti, sacerdoti negli ordini regolari (cappuccini, serviti) ed anche un notaio attivo nella prima metà del secolo XVIII.
Le ricerche storiche fin qui note (principalmente quella del Tarentini) non riportano gli Elefante tra i titolari del patronato della cappella in questione. Tuttavia, dal Librone Magno delle famiglie di Manduria (colonna 319) emerge che un esponente di questa famiglia, Giuseppe aveva sposato una donna di casa Sorano, Perruzza o Petruzza, figlia di Donato, dello stesso ramo che avrebbe poi dato i natali a Castorio, arciprete della Collegiata.
I Sorano, a loro volta sono citati come titolari della cappella dal Tarentini, con Ottavio, probabilmente persona coincidente con l’altra dello stesso nome, riportata nel Librone Magno, che fu sacerdote e canonico della Collegiata di Manduria.
E’ possibile, pertanto, che i diritti degli Elefante sulla cappella derivino proprio dal matrimonio di Giuseppe con Perruzza Sorano.
Anche il passaggio successivo ai Barbero trova qualche supporto nel Librone Magno, atteso che il canonico Ottavio Sorano è figlio di Allegracore e di Porzia Barbero (o, secondo altra variante, Barbiero) di Domenico. Si potrebbe pensare che la titolarità passata, magari per breve tempo, dai Sorano agli Elefante per via del matrimonio con l’anzidetta esponente della prima casata, sia tornata nuovamente ai Sorano per poi trasferirsi, forse, alla morte del canonico Ottavio, ai parenti di questo in linea materna, i Barbero appunto, il tutto secondo passaggi in parte descritti da Tarentini.
Lo stemma mandurino si accosta, in buona parte a quello dell’omonima famiglia nobile di Barletta, il cui blasone è d’azzurro all’elefante al naturale sostenente una torre d’argento, murata aperta e finestrata di nero.
Dico in buona parte, perché l’elefante dello stemma mandurino difetta appunto della torretta.
Senonchè, da notizie fornitemi dal nostro benemerito Mons. Dinoi, che ha seguito puntualmente i lavori di restauro, pare che proprio la parte dello stemma che sovrasta la figura dell’animale rechi tracce di precedenti abrasioni o rifacimenti, quasi che nello spazio già vi fosse qualche altra figura, successivamente rovinata o rimossa.
A tal proposito, si tenga conto che sul dipinto murale datato 1608, fu sovrapposta intorno al 1620 la tela con soggetto analogo del pittore ateniese, mandurino di adozione, Giovanni Papagiorgio. Per la tenuta della tela saranno stati pure usati dei sistemi di ancoraggio al muro (chiodi o ganci) che potrebbero aver interessato l’affresco rovinandolo in questa parte dello stemma. E’ anche possibile che la lacuna sia stata causata da fenomeni infiltrativi del muro provenienti dall’esterno.
In ogni caso, quale che sia la causa, potrebbe darsi che questa parte non più leggibile dell’ovale raffigurasse proprio la torretta caricata sull’elefante che compare nello stemma della famiglia di Barletta. Come pure è possibile che la famiglia mandurina innalzasse un emblema proprio che non prevedeva quest'altro particolare.
Ovviamente si tratta di ipotesi che abbisognano di studi e verifiche più approfondite.
Giuseppe Pio Capogrosso
- Tarentini sac. Leonardo, Manduria sacra, ed. B. D’Errico, Manduria, 1899.
- Guastella Massimo, Iconografia sacra a Manduria, ed. Barbieri, Manduria, 2002.
- Nelle immagini: lo stemma dell’affresco restaurato, lo stemma degli Elefante di Barletta, la pagina del Librone Magno con i nomi di Giuseppe Elefante e Perruzza Sorano.