I vasetti di grano bianco o “piatti ti Crištu” secondo la tradizione manduriana: si tratta di vasi in cui vengono seminati il Mercoledì delle Ceneri, all’inizio della Quaresima, semi di grano, lenticchie, altri cereali e leguminose e poi lasciati al buio
“Il sepolcro era stato fatto tra le colonne di una navata, coperte di paramenti neri. L’altare s’intravvedeva bianco nella penombra, con una nuda croce nel mezzo. Sulla croce, una candida tovaglia ripiegata simboleggiava il sudario. Ai lati dell’altare erano state collocate in fila statue di guerrieri, di sacerdoti, di maddalene piangenti; ma v’erano anche Santi e patriarchi. (…) Ardevano nella penombra ceri rossigni, che illuminavano le facce di quelle statue e della gente, e i vasetti di grano bianco sull’altare (…).
Anche i ragazzi (...) potevano baciare i piedi al Crocefisso, ma dovevano nascondere la raganella, il caro strumento di legno con la sua rotella dentata e la linguetta che, a girarlo rapidamente, strideva rauco ed acuto. (…) scoppiava sul sagrato, assordante e clamoroso, il concerto di raganelle, fra calci e sassate alle porte; finché accorreva il sagrestano con un randello, e guai a farsi cogliere.”.
Sono queste le suggestive immagini con le quali lo scrittore Giovanni Titta Rosa introduce la descrizione della Settimana Santa di S. Maria del Ponte, il suo paese in Abruzzo. 1
E nel sepolcro, allestito nella navata della chiesa abruzzese, figurano, immancabilmente, i vasetti di grano bianco o “piatti ti Crištu” secondo la tradizione manduriana.
Si tratta di vasi (nell’uso locale soprattutto di piatti fondi) ripieni di terra, in cui vengono seminati il Mercoledì delle Ceneri, all’inizio della Quaresima, semi di grano, lenticchie, altri cereali e leguminose, che, innaffiati frequentemente, vengono poi lasciati in un luogo buio (in cantina, anticamente “sott’allu limmoni”, il recipiente in creta usato per il bucato), per far sì che i germogli, privati della luce solare (e, così, inibendo la fotosintesi clorofilliana), crescano assumendo un colore giallognolo e bianco, con qualche tenue nota di verde sulle punte.
Successivamente, decorati con fiori semplici dei giardini domestici (tradizionalmente garofanini, violacciocche, fresie) vengono portati in chiesa per adornare il “Sepolcro” allestito per il Giovedì Santo. 2
Non di rado, nella nostra cittadina, accadeva di vederli esposti in anticipo nella chiesetta del “Crocefisso dell’Annunziata”, insieme alle rudimentali lampade ad olio (preparate a casa, in un bicchiere di vetro, con lo stoppino galleggiante nel liquido), durante il tradizionale pellegrinaggio giornaliero di preghiera che ancora si svolge, per tutto il mese di Marzo, in preparazione della Pasqua (“lu Mesi a Crištu”).
Parlando dei miti e dei rituali che, nelle tradizioni pagane precristiane, alludevano quasi profeticamente alla Pasqua, Alfredo Cattabiani, ha collegato l’usanza alle cosiddette Adonie o celebrazioni della memoria della risurrezione di Adone che, normalmente, avevano luogo nel periodo successivo all'equinozio primaverile ed erano molto popolari a Roma, nell’antica Grecia e nell’Asia Minore. 3
Le celebrazioni traevano origine dal mito di Adone, un bambino molto bello, che Afrodite, imprudentemente, affidò a Persefone, dea degli inferi, perché lo nascondesse. Quest’ultima, però, fu talmente attratta dalla bellezza del fanciullo che non volle più restituirlo.
Il conflitto fra le due dee fu composto da Zeus che, conciliando le avverse pretese, stabilì che Adone dimorasse, per i sei mesi dell’anno corrispondenti alle stagioni autunnale ed invernale, negli inferi con Persefone e che, per i restanti sei mesi (primavera-estate), facesse ritorno sulla terra da Afrodite.
Senonché, la bellezza di Adone suscitò la gelosia di Ares (o secondo altra versione di Efesto) che assunte le sembianze di un animale feroce (orso o cinghiale) lo uccise.
Nelle feste a lui dedicate, dopo la memoria della morte, si ricordava la resurrezione e l'ascensione al cielo del dio.
Faceva parte della tradizione, legata ai festeggiamenti, l’allestimento dei “giardini di Adone”, costituiti da recipenti o vasi nei quali, in un letto di terra o bambagia, erano stati fatti germogliare i semi di grano, orzo, veccia ed altre piante. Queste piantine, che disponendo di poca terra iniziavano ad appassire velocemente, simboleggiavano la vita del dio morto anzitempo.
Alla fine dei festeggiamenti, dopo le rituali manifestazioni di dolore e disperazione dei partecipanti (lamentazioni per la morte del dio), le piantine venivano disperse, con le figurine fittili di Adone da cui erano adornate, nelle acque dei fiumi e del mare per consentire la risurrezione del dio della vegetazione e, quindi, il risveglio primaverile della natura.
Il rito, dopo essere stato cristianizzato, sarebbe arrivato ai giorni nostri in quanto, riferisce l’autore, “…fino all'inizio del nostro secolo le donne siciliane e calabresi seminavano prima del periodo pasquale grano e lenticchie in piatti che tenevano nella penombra, innaffiandoli ogni due giorni. «Le piante» scriveva Frazer «crescono rapidamente, se ne legano insieme i germogli con nastri rossi e si mettono i piatti che li contengono sui sepolcri che si fanno con le immagini del Cristo morto, il venerdì santo, nelle chiese cattoliche e greche, così come i giardini di Adone venivano posti sulla tomba del dio morto.» “. 4
In realtà l’usanza è ancora più estesa, essendo diffusa, oltre che in Calabria (con il nome di graniceddru o granicello) ed in Sicilia (lavureddi), anche in Abruzzo (come già ho anticipato), in Toscana, in altre regioni dell’Italia meridionale e centrale e, perfino, in Sardegna.
In quest’ultima i vasetti di germogli, cresciuti al buio, prendono il nome di “su nenniri” e, tradizionalmente erano allestiti utilizzando grano, orzo e lino all’incirca tre settimane prima delle feste pasquali. Una volta pronti i vasetti venivano utilizzati per ornare i Sepolcri del Giovedì Santo e non solo. Infatti, si usava anche donarli ai familiari e ai vicini di casa per augurare loro una buona Pasqua ed essere collocati sulla tavola imbandita per il pranzo pasquale.
In altri casi, sempre in Sardegna, i vasetti erano preparati per la festa di San Giovanni Battista (24 Giugno) o per altre festività religiose. Mentre a Malta sono allestiti anche a Natale per essere posti intorno al Bambino Gesù.
La particolare diffusione geografica dell’usanza e le modalità, seguite nella preparazione dei vasetti di grano bianco, attesterebbero, quindi, il collegamento con i riti precristiani innanzi descritti.
Nel nuovo significato, assunto con il cristianesimo, essi vengono però ad alludere alla morte ed alla resurrezione di Nostro Signore, ed alla simbologia del “chicco di grano caduto in terra” che se “muore produce molto frutto” (Giovanni, 12, 20-33, cd. “discorso di Gesù alla venuta dei Greci”): il seme sprofondato nella terra marcisce e muore, ma solo in questo caso produce nuova vita (risorge).
Il senso vero e profondo di questa usanza popolare sembra essere proprio questo e, insieme alla bellezza ed all’antichità, è un altro valido motivo per impedire che vada perduta.
Prima di congedarmi, per meglio descrivere la tradizione nostrana dei “piatti ti Crištu”, riporto le efficacissime parole di Michele Greco, insuperabile maestro e ricercatore di storia e di costumi locali, che sembrano quasi echeggiare, per l’analogia di situazioni e di immagini, quelle dello scrittore abruzzese trascritte in apertura:
“Dopo pochi minuti di adorazione accanto ai bei sepolcri luminosi, ed adornati di artistici piatti infiorati (grano, ceci, ed altre leguminose, fatte sbocciare all’oscuro, che ergono il loro tenue stelo, pallido, pallido, digradante verso il verde alla punta ove sbocciano alcune ricciute foglioline di un verde pallido), mentre la congregazione si leva dalla preghiera, i ragazzi armati di trènula iniziano il loro frenetico ed assordante rumore e sotto la volta sacra è un risuonare di frastuoni rumorosi, di ronzii armonici, di piccoli chiocchiolii delle più piccole raganelle, agitate nel loro girare incomposto dai più piccini). “. 5
Parole sublimi per descrivere lo spirito autentico delle festività pasquali nella nostra cultura e nelle nostre tradizioni che, a torto, sono state per lungo tempo trascurate o dimenticate e meritano invece di essere riprese.
Che questo modesto contributo sia di sprone al loro pieno recupero.
Con i più fervidi auguri!
Giuseppe Pio Capogrosso
- Giovanni Titta Rosa, L’avellano – Storie e leggende della terra d’Abruzzo, Mursia, Milano 1965.
- Attualmente, dopo la riforma liturgica, il sepolcro è in realtà l’altare della reposizione che viene allestito per custodire il Pane Eucaristico dopo la messa in Coena Domini del Giovedì Santo.
- Alfredo Cattabiani, Calendario – Le feste, i miti, le leggende e i riti dell’anno, Rusconi, Milano 1988.
- Alfredo Cattabiani, op.cit.
- Michele Greco, “Dalla Cinniredda alla Scarcedda”, La Torretta, rivista quindicinale, n.1-2 del 31.3.1926, Manduria.
- Nele immagini: Cristo Risorto in un santino degli anni ’70 dello scorso secolo; i “Piatti ti Cristu” nelle foto dei “sepolcri” allestiti nella chiesa di S.Francesco nel 1995 e, dalla Confraternita di S.Leonardo Abate, nella chiesa omonima nel 2008, a Manduria (Collezione privata).