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28/05/2019 10:52:54 - Manduria - Cultura

Non un punto di arrivo, ma solo una tappa, prestigiosa, di un percorso di solidarietà e di umanità, speso per salvare le vite a quei ragazzi che si perdono nel buio labirinto della tossicodipendenza

La comunità Airone ha festeggiato a Manduria il trentennale della propria fondazione. Nell’aula consiliare della città messapica si sono ritrovati gli educatori e i ragazzi della comunità di don Nino Borsci, qualificati operatori del settore.

La prima a prendere la parola è stata Immacolata Capogrosso, dirigente del Ser.D. di Manduria, che si è soffermata sull’attività parallela svolta dal servizio della Asl che dirige. Attività che spesso si incrocia con quella della comunità Airone grazie alla proficua collaborazione reciproca in atto. La dott.ssa Capogrosso ha rimarcato come, nel solo 2018, ben 450 persone si sono rivolte al Ser.D. di Manduria (pochi volontariamente, molti perché costretti) e come, ora,sul mercato vi siano nuove sostanze psico-attive, che non vanno iniettate, ma non per questo meno dannose.

«In tanti mi chiedono se dalla tossicodipendenza si può uscire fuori completamente. Io rispondo sempre che, come per la malattie, dipende dai casi: per alcuni si arriva alla disintossicazione completa, per altri bisogna sperare di raggiungere la migliore situazione possibile, tenendo conto della base di partenza».

E’ stato poi la volta di Giuseppe Buccolieri, vice direttore del Dipartimento di Prevenzione della Asl.

«Per le tossicodipendenze non si può generalizzare: ogni caso è diverso dall’altro ed è proprio nostro compito, tenendo presente il quadro completo, di collocarlo in strutture specifiche, che siano anche lontane dalle piazze di spaccio in cui il paziente si riforniva» le parole del dott. Buccolieri. «Anche i percorsi, quindi, sono individualizzati».

La pedagogista Assunta Rossano ha invece tracciato il bilancio dei sette centri operativi della comunità Airone e ha descritto la giornata-tipo del ragazzo che inizia il percorso di disintossicazione: la sveglia, l’assunzione di un impegno da svolgere nella giornata, la colazione, le attività, l’interruzione a metà mattinata e, quindi, l’incontro con lo psicoterapeuta del centro. Attività che poi riprendono nel pomeriggio. La dott.ssa Rossano si è anche soffermata sui vari laboratori attivi e sulla possibilità che hanno i ragazzi di raggiungere il diploma di scuola media inferiore, frequentando le scuole pubbliche, qualora non ci fossero riusciti nell’età scolare.

«Ognuno è amato e seguito. I nostri ospiti non sono dei numeri».

E’ poi intervenuto Antonio Gaetani, Commissario Capo della Polizia di Stato di Manduria, il quale ha illustrato l’attività di contrasto allo spaccio svolta giornalmente dalla Polizia, con servizi frequenti anche nei pressi degli istituti scolastici.

«Ormai la legge non distingue più le droghe cosiddette leggere con quelle pesanti» ha aggiunto il dott. Gaetani, illustrando anche le norme vigenti in materia.

Molto appassionato l’intervanto del magistrato Giuseppe Tommasino, legato da amicizia duratura, oltre che dalla stima reciproca, a don Nino Borsci. Ha rimarcato il suo sentimento di gratitudine nei confronti di don Borsci, che ha definito come “costruttore di giustizia sociale”. Ha ricordato del suo impegno per la nascita a Manduria di una sede della comunità, atto, questo, che, all’epoca, fu molto contrastato dalla comunità della cittadina messapica.

«Il mio auspicio per il futuro?» ha concluso il dott. Tommasino? «Un mondo senza comunità terapeutiche».

Due i rappresentanti del mondo della scuola. La prima ad intervenire è stata Maria Maddalena Dimagli, dirigente del liceo “De Sanctis-Galilei”), che ha tratteggiato le paure e le insicurezze dei ragazzi di oggi, «i quali non hanno passato (visto che gli anziani sono sempre più ai margini della società; non hanno presente (in quanto non hanno certezze) e non hanno futuro (per loro il futuro è una minaccia, perché non sanno cosa l’aspetti)».

La dott.ssa Dimagli ha espresso la propria preoccupazione per questi adolescenti «che hanno contatti attraverso la tecnologia virtuale, ma non relazioni; che non conoscono la differenza fra gioco e tortura, né quella fra corteggiare e stuprare».

«Serve un intervento di tutte le parti in causa, che dovrebbero costituire una rete a maglie strettissime, affinchè il ragazzo non casa nel baratro».

Per tantissimi anni docente e poi anche dirigente scolastico Michelino Fistetto, che ha descritto l’attività dei Templari e, nello specifico, il volontariato di Aldo Chimienti e di Concepita Polito nella sede di Manduria della comunità Airone: entrambi sono impegnati in corsi di teatro rivolti ai ragazzi.

«Anche questo è uno strumento educativo molto importante» ha fatto notare il dott. Fistetto, che ha ricordato come la “Ce Tiempi”, di cui fanno parte sia Aldo Chimienti che Concepita Polito, abbiano già tenuto dei corsi simili nel carcere di Taranto.

Una lodevole attività artistica è stata conclusa, pochi giorni fa, da Carmine Antonucci: insieme ai ragazzi, ha ridato vita ad un vecchio ed obsoleto container, che era un pugno nell’occhio all’interno degli spazi della comunità.

«Insieme abbiamo deciso, innanzitutto, quale messaggio trasmettere attraverso i disegni da creare sui lati esterni del container» ha reso noto l’artista savese Carmine Antonucci, la quale ha illustrato il progetto “Container Art” (di cui ci siamo già occupati nei giorni scorsi). «L’arte, dunque, è stata proposta come forma di integrazione e rieducazione. E’ stato scelto un disegno che potesse integrare il container nello spazio in cui si trovava. E’ stato disegnato un cielo e un airone che vola alto e che tende verso un uomo a braccia aperte, che è il simbolo della ritrovata libertà».

Particolarmente toccanti le testimonianza di Dario, Vanessa e Francesco, i quali hanno raccontato l’inizio duro dell’esperienza in comunità, ma anche i benefici che offre il percorso e il benessere che si ritrova.

L’intervento più atteso è stato sicuramente quello di don Nino Borsci, che ha ricordato la genesi e la crescita della comunità Airone.

«Erano sicuramente altri tempi» ha ricordato don Nino compiendo un salto a ritroso di trent’anni. «Nel quartiere Tamburi si sparava e si moriva ogni giorno. Lo spaccio di droga era enorme. Tutto nacque da un incontro con i ragazzi e con le loro famiglie che si tenne in parrocchia. Il tema che scelsi (“Dalla droga si può uscire”), richiamò tantissima gente. Ricordo che nei giorni successivi furono proprio le famiglie a chiedermi di intervenire per cercare di salvare i ragazzi. Il primo passo fu quello della creazione di un centro d’ascolto. In quella fase ci adoperavamo per trovare dei posti per i nostri ragazzi nelle varie comunità di recupero operanti in Italia. Ma i tempi di attesa erano lunghissimi. Insieme alle famiglie e, dopo che ci fu concesso l’utilizzo di una villa a Martina Franca, decidemmo allora di aprire la comunità. Non avevamo alcun mezzo, se non l’aiuto del Signore: l’essenziale per il funzionamento della comunità ci fu donato dalle famiglie, mentre, per il cibo, ricorremmo all’aiuto della Caritas. Poi, pian piano, siamo cresciuti.

Determinante, allora, fu la presenza e il sostegno delle famiglie, che invece oggi sono più distanti quando si tratta di “costruire”».

Ha chiuso il convegno la testimonianza di Fabio, che ha appena concluso il proprio percorso di “rinascita”.











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