Ha lasciato un vuoto incolmabile non solo alla sua famiglia, ma a quanti hanno avuto la fortuna di conoscerlo
Due anni fa venne a mancare Cosimo Pio Bentivoglio, fine operatore culturale della nostra zona, apprezzato per le sue qualità di scrittore e ricercatore, nonché per il suo animo signorile.
Cosimo Pio Bentivoglio (Pio per i tantissimi suoi amici) ci ha regalato una tale eredità di ricordi, emozioni, ma anche idee, pensieri e naturalmente scritti. Ciò lo rende ancora presente, nel senso che sappiamo cosa avrebbe detto, cosa avrebbe letto e cosa avrebbe scritto in una determinata circostanza o evento gioioso o triste.
Grazie alla disponibilità di sua figlia Daniela, lo vogliamo ricordare proponendovi un suo pezzo scritto nel lontano 2006, che colpisce per la sua straordinaria attualità. E’ come se avesse colto nel segno ciò che si chiede, in questo tragico momento, al cittadino di qualunque paese o Nazione.
Sembrerebbe di sentirlo ancora tra noi, con la sua capacità di leggere l’attualità e la sua inconfondibile dote di trovare, anche nelle situazioni più complesse, una ottimistica via d’uscita.
La sera del 22 gennaio 1962 era gelida a Washington nel momento in cui John Ken¬nedy, dopo un'elezione trionfale, pronunciava il discorso del suo insediamento alla Casa Bianca. Fu un discorso che chiuse un'epoca non solo per gli Stati Uniti d'America ma anche per il mondo. Fu il discorso della cosiddetta "nuo¬va frontiera". Al fianco del presidente c'era, inta¬barrato ma ugualmente sofferente per il freddo, il vecchio grande poeta statunitense Ezra Pound che Kennedy volle vicino nel momento più importan¬te della propria carriera politica. La presenza del poeta, che non aveva manca¬to di manifestare negli anni giovanili una aperta simpatia verso il fascismo, era il messaggio che il nuovo presidente intendeva chiudere i conti col passato per prospettare una nuova frontiera, nuovi orizzonti al popolo americano e, data la funzione trainante nel mondo occidentale che la storia gli aveva assegnato, anche all'umanità. Punto culminante del discorso di Kennedy fu, tra l'altro, una frase indicativa della nuova politi¬ca; una frase che ribaltava decisamente il rappor¬to tra Istituzioni e cittadini. La frase era: "Non chiedete quello che l'America può fare per voi; chiedetevi, piuttosto, quello che voi potete fare per l'America". La frase era, sì, rivolta al popolo americano, ma si poteva considerare rivolta anche a tutto il mondo occidentale. Era il chiaro riferi¬mento ad un ritorno alla capacità dei cittadini di far grande l'America come era stato nel passato quando, con la conquista del West, avevano aper¬to un nuovo orizzonte allo sviluppo dello Stato, ma era anche un riferimento allo spirito di gruppo, allo spirito nazionale; era un richiamo al "senso dello Stato" visto non solo, come pur deve essere, elargitore di beni e di servizi ma come un corpo vivo per il cui corretto funzionamento e sviluppo era necessario il contributo di tutti, indipendente¬mente dalle proprie convinzioni e fedi. Era il richiamo alle proprie responsabilità di cittadini, ognuno dei quali doveva farsi carico di un piccolo peso perché l'America continuasse ad essere un grande Stato. Kennedy, in quel discorso chiedeva ad ogni cittadino un cambiamento cultu¬rale e uno scatto d'orgoglio, elementi che aveva¬no reso nel passato grande l'America. E' il cambiamento culturale e lo scatto d'orgo¬glio dei quali i cittadini stessi avvertono l'esigen¬za dinanzi allo sfilacciamento e al deterioramen¬to che si nota nel rapporto tra di loro e tra loro e le Istituzioni. E' lo scatto culturale che da parte di tutti si richiede ma che pochi riescono a mettere in atto perché è sempre "l'altro" che "deve"; è "l'altro" che "sbaglia"; è "l'altro" che "non fa" e così via in un continuo rinfacciarsi inadempienze ed errori, senza pensare che si è insieme e questo insieme è formato dall'altro ma anche da me; dimenticando che in un contesto sistemico non è tanto importante che sia "l'altro" a cambiare ma che lo sia "uno" e questo posso anche essere "io". A questo punto qualcuno potrebbe chiedersi dove voglia andare a parare l'estensore della nota dopo questa tiritera. La risposta è semplice: il cambiamento deve iniziare dall'individuo, dal soggetto, da me perché il contributo ad un migliore funzionamento della città ed al suo sviluppo inizia dall'individuo. Domandiamoci cosa possiamo fare per la nostra città prima di chiedere alla città, ai suoi amministratori, cosa può fare per noi. E nessuno pensi che sia ininfluente il contributo del singolo; nessuno pensi che, tanto, anche con il proprio contributo le cose continueranno ad andare in malora. Allora, cari lettori, fuor di metafora, la città deve ai cittadini tanto e ad essa tanto si chiede, però credo che sia tempo di chiederci cosa possiamo fare noi per essa; cosa può fare ogni cittadino per la propria comunità. Il primo scatto culturale che ognuno di noi è tenuto a fare, piange il cuore dirlo perché in un sistema di civile convivenza deve essere dato per acquisito, è quello dell'osservanza delle regole anche quando ciò comporta qualche piccolo sacrificio individuale.
Cosimo Pio Bentivoglio
novembre 2006