La proposta parte dall’artista pugliese Fabrizio Bellomo: restringere lo spazio e il tempo per far rivivere nella memoria degli abitanti di Manduria e dei suoi numerosi visitatori l’eccezionale episodio storico della nascita, nello stesso giorno, di due bambini a Manduria
Un ponte della rimembranza da intitolare a Mandurino Weiss e Trento Dinoi per far consegnare, ad perpetuam rei memoriam, una storia di sofferenze e di lutti, ma anche di amicizia e di legami stretti fra gente di zone diverse dell’Italia: la comunità manduriana e un folto gruppo di profughi trentini delle Valli di Primiero e del Vanoi, che trovarono ospitalità a Manduria quando, il 26 maggio del 1916, a seguito dell’avanzata degli austriaci, furono costretti ad abbandonare le loro case e a fuggire.
La proposta parte dall’artista pugliese Fabrizio Bellomo: restringere lo spazio e il tempo per far rivivere nella memoria degli abitanti di Manduria e dei suoi numerosi visitatori l’eccezionale episodio storico della nascita, nello stesso giorno, di due bambini a Manduria.
Non erano due bambini qualsiasi, ma erano due protagonisti inconsapevoli di un evento storico che ha caratterizzato il paese durante il periodo del primo conflitto mondiale.
Era il 1916 e il primo nascituro era un profugo trentino, chiamato dai suoi genitori Mandurino Vittorio Emanuele Weiss a testimonianza della riconoscenza della famiglia nei confronti del territorio di accoglienza. L’altro bambino era Trento Dinoi, figlio di due abitanti del posto che, per esprimere solenne vicinanza nei confronti dei profughi, decisero di dare questo nome originale al neonato. Un nome che simboleggia non solo una nuova vita ma anche la nascita di un ponte fatto di comprensione e reciprocità. La vicenda, con i suoi successivi sviluppi, viene brevemente spiegata in un estratto dal libro di Francesco Altamura “Dalle Dolomiti alle Murge, profughi trentini della Grande Guerra” (a questa storia e, e più in generale, a legame che nacque fra trentini e manduriani fu la sezione ANSI di Manduria a promuovere, un paio di anni fa, una serie di iniziative culturali).
Partendo da questi avvenimenti, Bellomo ha messo in scena una installazione artistica di profondo valore ed alta suggestione. L’artista ha usato il proprio corpo come parte dell’arredo urbano, per sorreggere una segnaletica stradale informale a memoria dei due bambini.
Ritornando alla storia di Trento e Mandurino, che non si erano mai conosciuti, sarebbero venuti in contatto tra loro ancora per via di un conflitto: la Seconda Guerra Mondiale. Impegnati infatti nelle fila dell’esercito italiano in Etiopia, entrambi caduti prigionieri delle forze inglesi, si sarebbero ritrovati assieme presso il campo di prigionia di Ginja, in Kenya. Durante un appello Weiss udì pronunciato dal sergente inglese il nome di Trento e il soldato di nome Trento sentì il nome di Manduria. Nei due soldati italiani prigionieri a Ginja non vi fu alcun dubbio, l’episodio della loro nascita e del loro battesimo fu subito ricordato e uno si mise alla ricerca dell’altro.
LA LETTERA AL COMUNE DI MANDURIA - Erigere una targa alla memoria della storia che vede protagonisti il Mandurino Weiss e il Trento Dinoi, oltre che la stessa cittadina di Manduria, sul ponte sul Chidro, a San Pietro in Bevagna (al quale si riferisce la foto) oppure su uno dei due cavalcavia della circonvallazione di Manduria.
Sono queste le proposte avanzate da Fabrizio Bellomo al Comune di Manduria. Lo stesso artista, qualche giorno fa, si è recato sia sul Chidro che sui due cavalcavia e, sotto gli sguardi meravigliati dei passanti, ha messo in scena un’installazione usando il proprio corpo come parte dell’arredo urbano per sorreggere la segnaletica stradale a memoria dei due personaggi.
«L’operazione rappresenta un invito a ricordare l’accoglienza con la metafora della strada e del ponte, congiunzione tra ciò che è vicino e ciò che sembra lontano e diverso ma che in realtà altro non è che l’altro lato della medaglia di noi stessi» è riportato nella lettera inviata al Comune di Manduria.
«Questa sarebbe un’operazione che consentirebbe ad altri di venire a conoscenza di tale affascinante vicenda: una metafora di un ‘ponte’ fra popolazioni e comunità che verrebbe ora traslata nella realtà attraverso la suddetta attribuzione toponomastica. In questo modo il ponte metaforico che emerge dalla narrazione della vicenda diverrebbe figurato dalla targa affissa su un ponte o un comune cavalcavia della periferia della provincia pugliese.
Un invito a ricordare quindi l’accoglienza con la metafora della strada e del ponte, congiunzione tra ciò che è vicino e ciò che sembra lontano e diverso ma che in realtà altro non è che l’altro lato della medaglia di noi stessi».
L’azione si inserisce nell’ambito di un progetto dell’Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione - ICCD del MiBACT che ha coinvolto diversi artisti, tra cui per l’appunto Bellomo, per raccontare dal proprio punto di vista la Grande Guerra attivando differenti percorsi narrativi e di memoria collettiva.