Mentre la notte più nera cala sulle donne afghane e le femministe d’Occidente, val la pena rileggere un romanzo “proto femminista” degli inizi del ‘900
Mentre la notte più nera cala sulle donne afghane e le femministe d’Occidente, forse troppo distratte da dispute linguistiche, tardano a prendere posizione o a dare vita a iniziative di lotta, vale la pena di rileggere un romanzo “proto femminista” degli inizi del '900? Un romanzo autobiografico, col suo stile inevitabilmente datato, il lessico obsoleto, l’apparato retorico eccessivo?
La risposta è sì, se stiamo parlando di “Una donna”, di Sibilla Aleramo ( pseudonimo di Marta Felicina Faccio, “Rina “). Il romanzo narra la vicenda di una ragazza che, avendo sviluppato nella sua giovinezza autonomia e indipendenza di giudizio, cade nella trappola di un amore sbagliato, che la risucchia nelle convenzioni sociali della sua epoca, che vedono la donna indissolubilmente legata al suo destino di moglie e di madre.
Un destino da cui è vergogna fuggire, anche quando fuggire significa in realtà mettersi in salvo da un marito prevaricatore e violento e da un ménage che soffoca ogni anelito dello spirito e aspirazione dell'intelligenza.
La protagonista di “Una donna” compie questa scelta, divenendo una clamorosa eccezione che la marchierà con lo stigma della riprovazione sociale, privandola della vicinanza del figlio, ma che le consentirà di realizzarsi dal punto di vista intellettuale e lavorativo.
Così accade alla Aleramo, scrittrice, giornalista, romanziera, poeta, impegnata nei movimenti culturali della sua epoca, come nelle lotte per l’emancipazione non solo delle donne, ma anche delle masse operaie e contadine.
Amica di scrittori, uomini politici, poeti, non riuscì a liberarsi di un certo eclettismo, tanto nelle scelte ideologiche e artistiche quanto in quelle amoroso-sentimentali. Famoso il suo tormentato rapporto col poeta Dino Campana, testimoniato da un intenso epistolario.
Fu autrice di successo e di grande notorietà presso il grande pubblico. Si spense a Roma nel 1960, avendo rivisto il figlio solo tre volte in tutto il corso della vita.
Sibilla Aleramo “Una donna”, Feltrinelli
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